martedì 7 maggio 2013

E ricci di mare furono!

Il pesce crudo, nel piatto, odora di mare. Lo riesci a sentire, profuma di acqua marina e di sabbia e di alghe. Ti guarda, ordinato, finemente tagliuzzato, silenzioso. Tonno? Sì, pare che il cameriere eccessivamente imbellettato, impettito, con inglese da far ridere, abbia detto che è tonno. Si scioglie in bocca, ha un retrogusto aspro di limone.
Arriva il piatto forte. La specialità della casa. I ricci di mare.
Ho imparato infiniti nomi di pesce, di molluschi e altri abitanti acquatici a Taiwan... Ma come diavolo si chiamerà il riccio di mare, in cinese? Ci giro intorno, lo descrivo. "L'uovo di mare, dici?" Mi fa il simpatico omino cinese seduto al mio fianco. "Si, deve essere lui." Dico io cercando di non essere troppo imbarazzata perché, come sempre, non riesco a perdonarmi di non sapere una parola che mi sarebbe servita.
I ricci arrivano. Prima arriva un set di posate dedicate. Mini forchetta concava, mini cucchiaio, mini coltello. Io sono preoccupata.
Come diamine si mangia un riccio di mare?
Non so niente sui ricci di mare, tranne quanto mi ha detto, ci ha detto, Baldo mille e mille volte e un po' di curiosità e di mistero li circonda.
"Hanno il sapore delle donne."
Diceva così il maestro.
Sono incuriosita e decido che tenterò di mangiarli solo se saranno già aperti.
Sono stata fortunata con scampi e gamberoni, crudi e salati ancora di acqua di mare, perché erano già stati abilmente aperti ed erano pronti ad essere ingeriti.

Arriva la ciotola, a forma di conchiglia gigante e viene posata sul tavolo dal cameriere imbarazzato.

I ricci sono aperti, mi tocca provarli.

Maestro, penso, è arrivato anche per me il momento di assaggiare un riccio di mare. Il mio commensale cinese è entusiasta, ci sono anche le ostriche e a dirla tutta dice di non averle mai viste prima, in occidente. Io prevedo un pericolo, ma spero si conterrà, è uomo di mondo...

Il mio riccio di mare, spine nere e appuntite, mi guarda.

"Glielo dica, devono essere per forza ricci femmina, altrimenti non ci sarebbe niente da mangiare. Sono afrodisiaci. Glielo deve dire."

E glielo dico, sono qui per questo.

Il simpatico cinese ride allegramente e si rammarica che sua moglie è giusto a qualche migliaio di chilometri di distanza.
Mi faccio coraggio e in modo quasi rituale mi appresto ad assaggiare il fatidico riccio di mare. Imito gli altri, impugno coltellino e forchettina e tento.
Non posso certo sapere se il maestro avesse ragione o meno, ma posso solo dire che mangiare un riccio di mare è un'esperienza che davvero ha un non so che di mistico.
La consistenza, il gusto incredibilmente delicato, lo sciogliersi al contatto con la lingua... Indescrivibile. E ora capisco perché il maestro ne è così reverentemente innamorato.
Finita l'esperienza mistica tra me e il riccio torno alla realtà richiamata dal suono della lingua cinese che mi mette in automatico in "interpreting mode on" .
I ricci gli sono piaciuti, ora tocca alle ostriche. Il mio peggior presentimento si avvera e lui risucchia il mollusco senza ritegno, con un rumore che lascio all'immaginazione e che suscita un'espressione di quasi disgusto sul volto del commensale italiano, mentre il tedesco e il franco-spagnolo sorridono sotto i baffi conoscitori quali sono dell'etichetta cinese a tavola.

Mi fermo un istante e rifletto sui commensali seduti intorno a me.
Rifletto e come in un moment of being woolfiano mi rendo che, accidenti, ci sono tre persone provenienti da tre paesi diversi e io... Io potrei tranquillamente parlare con ciascuno nella sua lingua madre... Continuiamo a usare l'inglese, ma insomma, la soddisfazione, sebbene platonica, non varia.