lunedì 11 novembre 2013

Soffia Vento Nuovo --刮新风 ---Dall'altra parte: Capitolo 1

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Dall'altra parte

Capitolo I

Vento Nuovo




Forse il vero problema era che si sentiva in gabbia, chiuso.

Alle volte gli sembrava persino di respirare a fatica, come se le pareti della sua stanza lo volessero schiacciare, come se ci fossero spesse sbarre di ferro tutto intorno a lui.
Era stufo, stanco, depresso e persino malinconico.
Si sentiva intrappolato in una vita che non voleva, non aveva nemmeno avuto il tempo di capire, di elaborare: era successo tutto velocemente, troppo velocemente e ora ne subiva le conseguenze. 
C’erano dei momenti in cui cercava di ricordare, si fermava, si guardava dentro e si chiedeva che fine avessero fatto i sentimenti che aveva provato in passato, quelle emozioni, quei sussulti e soprattutto si domandava dove fosse finito l’amore. Provava a ricordarlo, ma, certo, questo non era sufficiente, non si può vivere un’intera vita col solo ricordo dell’amore.
Quando Xiaoli era vicino a lui, quelli erano i momenti peggiori. Perché la guardava e non sentiva niente. La stringeva, la baciava e provava con tutto se stesso ad amarla, a ricordarsi com’era stato in precedenza, a ripensare a quanto gli piacesse stare con lei, all’inizio, a quanta gioia gli desse passare del tempo con lei, a quanto fosse emozionato alla sola idea che l’avrebbe vista, che avrebbe baciato le sue labbra morbide, ma era tutto inutile e lui era furioso con se stesso.
Si odiava.
Perché si rendeva conto benissimo che la povera Meng Xiaoli era sempre la stessa, tale e quale. Aveva spuntato i lunghi capelli corvini nell’ultimo mese, questo sì, ma la cosa che più lo spaventava era il suo essere sempre uguale dentro, nel profondo. Devota, gentile, sorridente, affaccendata, amabile, piena di piccoli gesti e pensieri per lui.
Da quasi otto anni era tutto questo, senza cambiare mai, senza un tentennamento, lei era sicura di tutto e lo era più di ogni altra cosa del fatto che volesse passare il resto della sua vita con lui.
Avevano finito le scuole superiori insieme, lui aveva iniziato e finito l’università, mentre lei s’era dedicata al lavoro, da subito, aveva cominciato a fare la commessa in un negozio di vestiti di un famoso marchio occidentale, che aveva aperto da relativamente poco in città.
Xinfeng ricordava nitidamente quando era felice di vederla la sera, quando il cuore gli accelerava quando la passava a prendere a lavoro, quando ridevano e parlavano di tutto con un’armonia che non credeva potesse finire. Erano momenti belli, perché Xiaoli era il suo grande amore, quello che –ne era convinto- non sarebbe finito mai, non poteva finire. Eppure, ora, come per un incantesimo lanciato per dispetto da una strega cattiva, era finito. Dentro di lui, era finito tutto. Non c’era verso di riportare indietro quei sentimenti e piano, piano aveva iniziato a distaccarsi da lei; aveva iniziato a fare altri sogni, a immaginare una vita in cui lei poteva non esserci e non cambiava poi tanto. Ricordava nitidamente di progetti fatti insieme, guardando il cielo stellato e le luci della città sotto di loro in cima a Yangming Shan, di come sarebbe stata la loro casetta, di quali mobili avrebbero scelto … avevano persino deciso di che colore sarebbe stata la cucina, cosa avrebbero mangiato a colazione e come si sarebbero alternati per fare le pulizie di casa … Ripensando a tutto ciò, Xinfeng sentiva un dolore forte alla bocca dello stomaco, gli dispiaceva da morire, ma non poteva farci niente, non l’aveva mica fatto di proposito! Era solo che quelli, a un certo punto, avevano smesso di essere i suoi sogni, le sue speranze per il futuro. Forse, in parte, era stata colpa/merito dei suoi studi, che gli avevano fatto guardare oltre, aveva studiato design e il mondo si era aperto davanti ai suoi occhi come un tappeto magico che si srotola piano piano tirando giù immagini, visioni e pensieri che non immaginava nemmeno potessero esistere.


«Non devi preoccuparti di niente, ci penso io tesoro, ho già parlato con tua mamma, organizzeremo tutto, sarà un giorno memorabile.»

Così gli aveva detto Xiaoli qualche giorno prima, proprio mentre erano giorni che lui non riusciva a pensare ad altro se non a quanto avesse una voglia incontenibile di cambiare le cose, di dare una svolta alla sua vita, che sembrava sempre di più una trappola che gli si stringeva addosso senza possibilità d’uscita alcuna.
Solo quando Xiaoli aveva finito di parlare e lo aveva guardato con gli occhi pieni di luce, lui si era reso conto che lei voleva sposarlo, sul serio. E da quel momento niente era stato più come prima: aveva iniziato a sentirsi ancor più stretto, a disagio e sempre più dubbi si erano fatti strada nella sua mente confusa.
Cosa fare? Sposare Meng Xiaoli era davvero la scelta migliore? Era la vita che desiderava o stava buttando via la sua giovinezza? E poi c’era quella domanda, c’era quel modulo che aveva compilato e inviato in un mondo lontanissimo di cui aveva solo letto, solo sentito parlare, ma che gli permetteva di tenere accesa una piccola luce di speranza nel buio che vedeva prospettato davanti a sé.
Con tutte queste e molte altre domande che si alternavano nella sua testa, aveva pensato di chiedere aiuto a qualcuno che potesse dargli una mano, un consiglio, un suggerimento.

Era andato, per prima cosa, alla sala da tè dei mille fiori, dove si riunivano solitamente i suoi amici, a cercare Liu, il suo compagno di avventura, ma aveva dimenticato che lui era anche amico di Xiaoli e che erano cresciuti insieme, tutti e tre. Liu vedeva le cose in modo parziale, non poteva essere oggettivo. «Secondo me hai solo paura di non essere all’altezza! Tu non sei poi niente di speciale, ma sei molto fortunato. Hai trovato un buon lavoro in quello studio a due passi da casa, la tua famiglia ha scelto per te una donna che conosci bene, di cui sei invaghito da quando eri un ragazzino e ora lei vuole sposarti, qual è il problema? La tua vita non potrebbe prendere piega migliore di questa! Cretino che non sei altro!» detto questo Liu si era alzato dal tavolo e lo aveva lasciato lì, solo come un cane, più confuso di prima a guardare le foglioline verdi che ballavano allegre schiudendosi nell’acqua della sua tazza da tè. Quello che aveva detto Liu era giusto, di base. Chi avrebbe potuto desiderare di più? In fondo dalla prospettiva del suo amico lui era solo uno sciocco e forse aveva ragione. Ma la questione era esattamente quella: prospettive. E la sua di prospettiva era completamente diversa. Perché lui non riusciva ad accontentarsi, a sentirsi bene con quello che aveva ad arrendersi a una vita che sarebbe stata – per quanto felice, magari- mediocre e banale; no, lui voleva di più, voleva vincere quella borsa di studio per cui aveva mandato una domanda solo per gioco e andarsene via, cambiare tutto, diventare chi davvero sentiva di essere, anche se ciò avesse significato lasciare tutto e ricominciare da zero in un mondo nuovo.
Era rimasto seduto immobile finché il cameriere non gli aveva gentilmente chiesto di lasciare il locale, perché era ora di chiusura. Liu non l’aveva aiutato, anzi, aveva peggiorato le cose facendolo sentire terribilmente in colpa e ancora più confuso. Si chiedeva perché, se Xiaoli era davvero la donna del suo destino, il suo cuore non ne fosse affatto certo, ma non trovava risposte, se non nel fatto che era lui il problema. Era lui ad essere cambiato negli anni, a essere cresciuto e diventato qualcuno di diverso dal ragazzino troppo magro, coi capelli a spazzola e i pantaloni della divisa del liceo troppo larghi che Xiaoli aveva conosciuto e di cui allora s’era innamorata.
Quel giorno se lo sarebbe ricordato per sempre con un affetto, una tenerezza e una nostalgia incredibile, anche se, si rendeva conto che era ormai diventato nulla più che un bel ricordo da conservare nel profondo cuore.
Il primo giorno che aveva visto Xiaoli a scuola. Xinfeng stava passando accanto alla finestra della sua classe, per sbaglio, aveva guardato dentro e aveva incrociato lo sguardo brillante, acceso della ragazza. Era bastato quello per far partire la scintilla. E il resto era venuto da sé con una facilità indicibile, un amico in comune e il più era fatto. Tutto il batticuore, tutto quell’amore che aveva nutrito per lei … svanito, per sempre.

Mentre camminava verso casa i pensieri viaggiavano veloci indietro nel tempo, cercando di ritrovare quel punto, un momento preciso in cui le loro strade s’erano divise per sempre, senza via d’uscita o di ritorno; ma non era semplice trovarlo, affatto.

lunedì 10 giugno 2013

Next Stop, Lionfield

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Liberamente tratto da una storia vera.
 
L'ennesimo fracasso delle ruote sui binari, un altro treno che passa e corre via, il giorno è ancora troppo giovane per uscire.

Apre appena un occhio, l'altro è troppo stanco, resta chiuso, controlla che tutto sia in ordine, che la sua compagna sia dove l'ha lasciata qualche ora prima, addormentata al suo fianco e, in effetti, è lì.

Torna a dormire, ma non ci riesce. Gli sembra impossibile, eppure dentro la testa inizia a sentire un leggero brusio, prima lontano, appena percettibile, poi sempre più forte. Un brusio raro quanto inconfondibile. Qualcuno sta parlando di loro, da qualche parte.

Ma chi può essere? Ma come può essere?

La storia della loro presenza, la leggenda della loro esistenza in quella zona è dimenticata da tempo, eppure quel rumore, diventato ora assordante, lo sa bene, è l'inconfondibile segnale d'allarme.

Si alza, svogliatamente, sulle possenti zampe, muove un po' il collo intorpidito e sistema la criniera folta, scomposta.

Lyla, la sua amata compagna, apre gli occhi ambrati e gli lancia uno sguardo interrogatorio. Vuole sapere perché si è alzato così presto e dove stia andando, in pieno giorno. "Sei impazzito davvero, allora!" dice, senza bisogno di proferir parola, solo col pensiero. 

"Non lo senti, il ronzio?" Lyla lo guarda, sempre più contrariata. Non sente niente, dice. Poi, balza in piedi e con uno scatto agile e sinuoso gli si affianca, sull'uscio della grotta. "Sì, sì... ora lo sento anche io! Odio doverlo dire, ma io te l'avevo detto, quello che hai voluto fare l'altro giorno lo sapevi che avrebbe avuto conseguenze e causato problemi." è ancora infuriata, Luk lo sa bene, ma non ha potuto farne a meno. 

Lui non è certo un leone bianco qualsiasi, il ciuffo di pelo corvino che ha proprio al centro della criniera candida è un simbolo della sua missione e lui deve portarla avanti, almeno le rare volte in cui se ne presenta l'occasione. "Sei così preso da questa tua missione da voler uscire allo scoperto, alle volte mi sembra davvero che dimentichi che questi sono tempi nuovi, nessuno più ti conosce o sa cosa significhi una tua apparizione." Così gli aveva detto Lyla qualche sera prima, quando era tornato, dopo esser apparso, in sogno a un giovane essere umano. Prima che uscisse lei aveva tentato di convincerlo che sarebbe stato inutile andare, ma lui era stato irremovibile.

C'erano cose che Lyla non poteva capire. 

C'erano tempi felici che la sua giovane compagna non aveva conosciuto, non poteva ricordarli, lei che da quando era arrivata sulla terra non aveva fatto altro che passare i giorni nascosta in quella buia caverna e le notti a dilettarsi in cacce di pasti frugali in una terra sempre più brulla. 

Lyla non sapeva com'era la vita quando gli umani amavano e veneravano i grandi leoni bianchi; quando un'apparizione in sogno del sommo leone dal ciuffo nero a un innamorato era vista come una benedizione, come il segno ch'egli aveva trovato il vero amore. 

Ma erano tempi lontani quelli, Lyla su questo non aveva torto. 

Ormai nessun membro del genere umano si ricorda più dei possenti leoni bianchi, figli dei maestosi leoni d'argento, guardiani delle trame del destino. Luk era stato inviato sulla terra da suo padre quando era giovanissimo paladino dell'amore vero e aveva avuto la fortuna di esser stato raggiunto, secoli dopo, dal suo, di vero amore. Negli ultimi anni il suo lavoro era diventato sempre più noioso e poco interessante, gli umani smettevano, uno dopo l'altro, di credere nell'amore e il grosso sonaglio d'argento che portava appeso al collo possente suonava sempre più di rado per dirgli che un incontro del destino era avvenuto.

Aveva atteso a lungo perché succedesse, aveva continuato a sperare che qualcuno, prima o poi, avrebbe trovato quell'amore che non si incontra che una volta nella vita, quello che fa brillare di più le stesse in cielo e apparire il leone bianco. 

Come avrebbe potuto ignorarlo, quando era successo? 

Aveva lasciato la sua grotta e si era precipitato fuori, aveva localizzato la posizione di quel giovane cuore innamorato e si era staccato dal suo corpo fisico per materializzarsi nel mondo parallelo dei sogni. Era convinto, il leggendario leone, che un cuore capace di provare un sentimento così puro,  l'amore vero, avrebbe anche capito che l'incontro onirico con un animale dalle fattezze così singolari,  avesse un qualche significato anche se non poteva, ovviamente, sapere quale esso fosse.

Luk, dalla porta della grotta, scruta l'orizzonte. "Qualsiasi cosa stia succedendo, chiunque stia parlando di noi, ti vieto di uscire in pieno giorno." Lyla è terribilmente seria e il suo sguardo, il leone dal ciuffo lo sa perfettamente, non mente mai. "Va bene, non mi muovo da qui. Posso almeno provare a estendere l'aurea e scoprire chi sta parlando di noi? Capita così di rado di avere un qualche diversivo, posso almeno essere curioso?" la leonessa non lo degna di risposta, si limita a sdraiarsi, apparentemente cheta, accanto a lui e a socchiudere gli occhi. 

Luk spalanca i suoi occhi cerulei e concentra l'energia. Due raggi di luce si diffondono nella vallata di campi di grano arati, con le balle già pronte per esser conservate, seguono il segnale che continua a risuonare nella mentre del leone bianco...

Un nasetto piccino, a patata, schiacciato contro il finestrino. Due occhi neri spalancati che si guardano intorno, curiosi e guardinghi. Un grosso libro di favole abbandonato sul sedile accanto. Il bambino, camicetta a quadrucci blu e rossi, si è arrampicato in piedi sul sedile per guardare meglio fuori dal finestrino. 

"Next stop, Lionfield" ripete l'alto parlante del treno. 

Il bimbo guarda fuori con maggiore intensità, il treno si ferma e poi riparte. 
Il bimbo sembra deluso, disilluso, persino. 
Torna a sedersi e riprende il libro. 
Guarda sua mamma, seduta di fronte a lui,, e con l'espressione più seria che riesce a trovare nel suo repertorio di bambino dice: "No, non capisco proprio, qui il campo c'è, eccolo, ma io i leoni non li vedo!" sua mamma abbozza un sorriso, ma prima che possa dire qualcosa il bimbo si fa pensieroso e continua: "Bah, forse hanno mangiato troppo a pranzo e ora dormono, nascosti da qualche parte." 

Dopo secoli in cui nessuno ha mai preso sul serio il nome che gli antichi hanno dato a quel posto, c'è finalmente un animo abbastanza sensibile da aver fatto il collegamento tanto palese quanto inafferrabile: Lionfield non è che il luogo in cui da millenni il leone bianco dal ciuffo nero, guardiano degli amori destinati, dimora.

Quel bambino merita un regalo, non serve disubbidire a Lyla, Luk può restarsene nella sua grotta e creare una proiezione astrale... un ologramma di solo qualche istante, per la buona causa di non far spegnere il barlume di fiducia nel fiero sguardo degli occhi neri di quel bimbetto.

"Mamma, mamma, no! M'ero sbagliato! Guarda là! C'è un grosso leone bianco col ciuffo nero laggiù, guarda!" il bimbo è di nuovo schiacciato contro il vetro, la mano di sua mamma lo fa tacere, un dito sulle labbra: "Mattia, caro, quante volte ti ho detto di non inventare storie? Qui non c'è nessun leone, è solo un nome, come un altro." 

Ha fatto il suo dovere d'adulta e ha tentato di riportare suo figlio coi piedi per terra, ma a vedere quella convinzione nello sguardo del suo piccolo uomo, qualche dubbio le viene e con la coda dell'occhio sbricia fuori dal finestrino, ma non vede un bel nulla, d'altronde la proiezione di Luk è invisibile ai più...




martedì 7 maggio 2013

E ricci di mare furono!

Il pesce crudo, nel piatto, odora di mare. Lo riesci a sentire, profuma di acqua marina e di sabbia e di alghe. Ti guarda, ordinato, finemente tagliuzzato, silenzioso. Tonno? Sì, pare che il cameriere eccessivamente imbellettato, impettito, con inglese da far ridere, abbia detto che è tonno. Si scioglie in bocca, ha un retrogusto aspro di limone.
Arriva il piatto forte. La specialità della casa. I ricci di mare.
Ho imparato infiniti nomi di pesce, di molluschi e altri abitanti acquatici a Taiwan... Ma come diavolo si chiamerà il riccio di mare, in cinese? Ci giro intorno, lo descrivo. "L'uovo di mare, dici?" Mi fa il simpatico omino cinese seduto al mio fianco. "Si, deve essere lui." Dico io cercando di non essere troppo imbarazzata perché, come sempre, non riesco a perdonarmi di non sapere una parola che mi sarebbe servita.
I ricci arrivano. Prima arriva un set di posate dedicate. Mini forchetta concava, mini cucchiaio, mini coltello. Io sono preoccupata.
Come diamine si mangia un riccio di mare?
Non so niente sui ricci di mare, tranne quanto mi ha detto, ci ha detto, Baldo mille e mille volte e un po' di curiosità e di mistero li circonda.
"Hanno il sapore delle donne."
Diceva così il maestro.
Sono incuriosita e decido che tenterò di mangiarli solo se saranno già aperti.
Sono stata fortunata con scampi e gamberoni, crudi e salati ancora di acqua di mare, perché erano già stati abilmente aperti ed erano pronti ad essere ingeriti.

Arriva la ciotola, a forma di conchiglia gigante e viene posata sul tavolo dal cameriere imbarazzato.

I ricci sono aperti, mi tocca provarli.

Maestro, penso, è arrivato anche per me il momento di assaggiare un riccio di mare. Il mio commensale cinese è entusiasta, ci sono anche le ostriche e a dirla tutta dice di non averle mai viste prima, in occidente. Io prevedo un pericolo, ma spero si conterrà, è uomo di mondo...

Il mio riccio di mare, spine nere e appuntite, mi guarda.

"Glielo dica, devono essere per forza ricci femmina, altrimenti non ci sarebbe niente da mangiare. Sono afrodisiaci. Glielo deve dire."

E glielo dico, sono qui per questo.

Il simpatico cinese ride allegramente e si rammarica che sua moglie è giusto a qualche migliaio di chilometri di distanza.
Mi faccio coraggio e in modo quasi rituale mi appresto ad assaggiare il fatidico riccio di mare. Imito gli altri, impugno coltellino e forchettina e tento.
Non posso certo sapere se il maestro avesse ragione o meno, ma posso solo dire che mangiare un riccio di mare è un'esperienza che davvero ha un non so che di mistico.
La consistenza, il gusto incredibilmente delicato, lo sciogliersi al contatto con la lingua... Indescrivibile. E ora capisco perché il maestro ne è così reverentemente innamorato.
Finita l'esperienza mistica tra me e il riccio torno alla realtà richiamata dal suono della lingua cinese che mi mette in automatico in "interpreting mode on" .
I ricci gli sono piaciuti, ora tocca alle ostriche. Il mio peggior presentimento si avvera e lui risucchia il mollusco senza ritegno, con un rumore che lascio all'immaginazione e che suscita un'espressione di quasi disgusto sul volto del commensale italiano, mentre il tedesco e il franco-spagnolo sorridono sotto i baffi conoscitori quali sono dell'etichetta cinese a tavola.

Mi fermo un istante e rifletto sui commensali seduti intorno a me.
Rifletto e come in un moment of being woolfiano mi rendo che, accidenti, ci sono tre persone provenienti da tre paesi diversi e io... Io potrei tranquillamente parlare con ciascuno nella sua lingua madre... Continuiamo a usare l'inglese, ma insomma, la soddisfazione, sebbene platonica, non varia.

venerdì 19 aprile 2013

Attenti al Drago Volante --Parte III

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Torna in ufficio e cerca di lavorare, di tradurre, per quanto possibile.

Erano mesi, forse anni, che il pensiero di un uomo, che nemmeno conosce, non si insinuava così nella sua fantasia. Aveva avuto avventurette, qualche incontro più o meno interessante, ma ogni singola volta era finita per essere disillusa, per ritrovarsi segregata al ruolo di bambola, di soprammobile. Alcune volte avrebbe voluto tagliare tutti i capelli, avrebbe voluto avere lineamenti meno belli, avrebbe voluto che le curve si appiattissero e che gli uomini non fossero attratti da lei. La speranza più intima di ogni donna cervello-munita, non è forse quella che un giorno, prima o poi, possa incontrare qualcuno capace di vedere oltre? Qualcuno che sia in grado di vedere anche quello che c'è dentro e non solo la bella scatola in cui è avvolto? Michela era romantica. Cercava di non esserlo, non voleva esserlo. Aveva assottigliato quella parte di se stessa per farsi meno male e desiderava profondamente che sparisse del tutto, ma era così legata al suo animo che non c'era modo di liberarsene del tutto, poteva metterla a tacere... ma prima o poi tornava e lei lo sapeva.

Drin. Hai un messaggio di posta non letto.

Il cuore accellera e Michela fissa lo schermo. Ha risposto? Sarà lui? Apre la posta elettronica.
Davvero è lui.

"Io sono a Termini oggi, alle 16.00 al tavolo dell'altra volta, spero di vederti.
Drago volante."

Michela riflette. Consegna le poche pagine che ha tradotto ed esce da lavoro.

La scelta è semplice: andare a piedi in stazione e tornarsene a casa o svoltare per Ponte Lungo?


MetroA, fino a Termini.

Appenascesa, prima di prendere la scala mobile, si ferma un attimo. 

È davvero folle. 

Di certo, non è lui. 

Arrivo lì, vedo che non è il ragazzo che mi ha sbeffeggiata per la salsa sul labbro e torno indietro.  Una specie di prova con se stessa vuole fare Michela, in fondo, passare per il Mac Donald's di Termini alle quattro del pomeriggio non è poi così pericoloso né tanto meno, inusuale. Passo davanti ai tavoli, do una sbirciata e me ne vado. Non c'è niente male. Continua a ripetersi per convincere se stessa.

 Prendecoraggio e sale. 
Il sottopassaggio oggi sembra interminabile. 
In lontananza il simbologiallo del Mac Donald’s brilla. 
Forza, ormai sei qui vai almeno a vedere, sidice, perché la sua razionalità continua a suggerire di andar via. 

Il tavolo acui si era seduta quel giorno è proprio lì, a qualche metro da lei, ma è vuoto. 
Desolatamente vuoto. 
Sente già la delusione salire su per il petto, fino astringerle la gola, sa che non c’è motivo per essere delusa, eppure … 

Il cuoreaumenta il battito. 

Indossa la giacca di pelle, il bavero alzato, i capelliramati spettinati, un po' lunghi, quasi a fungo. 

È di spalle, ma qualcosa sembra dire a Michela che è lui. Lui le passa accanto senza notarla e va diretto, passo sicuro, verso quel tavolo. 

Si siede conle gambe allungate ed incrocia i piedi, appoggia il volto, dai lineamentidelicati, alla mano destra e muove le labbra impercettibilmente, forsecanticchia. 

Lei lo guarda, nascosta dalla folla di viaggiatori e spera che luinon alzi lo sguardo, che non la veda, perché non ha ancora deciso cosa fare. Sabene che la cosa più saggia sarebbe girare i tacchi, ma quel ragazzo haqualcosa che l’attira come una calamita…
Colpita. 
Affondata. 
I suoi occhi marroni, stretti, affusolati, brillano. L’ha vista. 
Ètroppo tardi ormai per tornare indietro, le sue labbra leggermente carnose, sidistendono in un accenno di sorriso ed appaiono ai lati della bocca duefossette. Le sta sorridendo. Quel sorriso ha qualcosa di disarmante in sé.Qualcosa, che , chissà come, sembra superare la sua barriera difensiva. Forse quel messaggio era davvero per lei. Così si direbbe dall'espressione di quel ragazzo che sembra averla riconosciuta, che la guarda come una vecchia amica non vista da tempo o come un sogno materializzatosi.

Le possibilità di fuga diminuiscono, ormai è in ballo. Non può restare lì ferma immobile contro una colonna e continuare a osservarlo, tanto vale avvicinarsi e vedere che effetto fa...

Avanza,col cuore che batte forte e la gola arsa. Si sente come una stupida ragazzinadi quindici anni, ma ne ha ben venticinque e di cose nella vita ne ha già visteabbastanza. 
Ora è in piedi davanti a lui, che si alza di scatto e la fissa,occhi negli occhi. 
"Non ci credevo, ero certo che non saresti venuta!" dice lui.La sua voce è bassa, ma gentile e forte, allo stesso tempo. 
"Invece sono qui"per fortuna il suo scudo gelido è almeno apparentemente salvo. "Michela, è questoil tuo nome?" chiede lui, tornando a sedersi. 
"Sì. E tu ti chiami davvero Drago Volante o è un soprannome?" lui la guarda e sorride tra sé.

Michela si siede, si sente, stranamente, a suo agio di fronte a quel perfetto sconosciuto dai tratti marcatamente orientali.

"Drago Volante è la traduzione del mio nomecinese, quello italiano è Federico."

Che stupida! Come ha fatto a non fare un collegamento così semplice? La parte spiccatamente sinologica di Michela la vorrebbe prendere a schiaffi! La sua email non era forse feilong@live.it? Come ha potuto non pensare che fosse cinese per davvero e poi... Drago, certo, Long e Fei, volare... Un Drago Volante, Fei Long.
Cinese? È cinese!  Michela non ci crede ancora. Deve controllarsi e mantenere la calma. Il tempo in cui faceva amicizia con le persone solo perchè erano cinesi è concluso da tempo, ora sa scegliere e discernere persona e persona e in questo caso quello sguardo dolce e l'aspetto da idol di una delle sue serie tv taiwanesi non deve portarla fuori strada. Calma e sangue freddo, si ripete.

Rimane in silenzio. 

"Per te è un problema cheio sia cinese? Vivo in Italia da tempo ormai…mi sono integrato, ho studiato italiano e mi sono laureato qui..." 

Ma che fa, si giustifica? 

Non c’èniente da fare, la sinologa ha il sopravvento. 

"No, no, no, non lo è di certo,anzi.. Io parlo cinese." Lui si illumina, si siede dritto, si sporge sul tavoloe la osserva con fare sospetto. 
"Zhen de ma? Davvero?" chiede e la sua voce cambia, inevitabilmente, prende sicurezza nella sua lingua madre, è come se divenisse persino più profonda.  E lei risponde disì, sente le parole quasi bloccarsi all'altezza della gola... 

Sorride, continua a sorridere e Michela viene contagiata. 

"Sono felice, chebello." dice lui e lo fa in modo così convinto che Michela non riesce a trattenere una risata. 

Ormai parlano nella sua lingua e la sua voce diventa anche piùbella, meno controllata è come se scorresse libera, come un torrente dimontagna.

Parlanodi molte cose. 

Michela dimentica che dovrebbe tornare a tradurre quel pessimoromanzo inglese, perché lui conosce la letteratura cinese contemporanea molto bene, perché è un letterato esi indigna quando lei racconta la sua ultima delusione con una traduzione... 

Le viene facile parlare con luinonostante in cinese delle volte sia titubante, se non le viene una parola la dice in italiano e lui latraduce ... Ma da dove è venuto? Da Taipei, risponde lui. 

Anche se Michela non era la città che voleva sapere, sorride. E il cuore sta volta non riesce a smettere di accellerare. Taiwanese. Di Taipei. La sua città, la città dove ha vissuto e lasciato un pezzo di cuore.

"Sei di Taipei? Ni shi Taibei ren ma?" Lo chiede in due lingue, tanto per essere sicura.

"Sì, i miei genitori sono del Fujian, ma io sono nato e cresciuto a Taiwan." Michela è quasi indignata, aveva detto di essere cinese, quanto deve essergli costato dirlo, quanto deve costargli ogni volta dire a tutti che è cinese, quando in verità, Michela lo sa bene, i taiwanesi hanno un orgoglio patriottico fortissimo...

"Io ho vissuto a Taipei per un po'" dice Michela e sa che così lo conquista. 

Lui la guarda, estasiato.



mercoledì 17 aprile 2013

Astratti Furori, mai così reali. Omaggio al Maestro.

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Giunto a me in una busta gialla, la sua bella grafia è rimasta intatta, le lettere sono scritte chiare, con inchiostro di china nero.
Come quello usato nella dedica, semplice, concisa, che tutto dice e niente nasconde.
Me lo ha mandato lui di persona e ora è qui tra le mie mani. 

Oh se le misure dei libri, oh se il numero delle pagine rispecchiasse i loro contenuti, questo libretto, che tengo quasi dentro una mano, dovrebbe esser un tomo grande come la Divina Commedia. Ma non lo è. 

Piccino. Copertina nera e bianca, come al solito, e già sento echi che ricordano di una Notte Giovane farsi vivi nella mia memoria. 

Penso che dovrei leggerlo immediatamente, ma la vita mi trascina via e lo poggio sulla libreria, accanto alle altre due opere del Maestro, poco sotto a dove è appeso il Futurdrago che mi ha donato, ormai tanto tempo fa.

Una telefonata, in mattinata. In primo mattimo. 

Si stupisce, il Maestro, che lo riconosca al telefono.

Vero è che ho memorizzato il suo numero, ma altrettanto vero è che il suo accento siciliano, la sua voce profonda e cullante la riconoscerei comunque tra mille, anche aldilà del capo di un cellulare, senza capi né fili. 

Mi invita alla presentazione. E così lascio da parte manuale di medicina cinese (me lo porto dietro per coscienziosità, ma non lo apro nemmeno) e oggi mi dedico solo a te, Maestro caro. 

Le aspettative non possono essere deluse.

Ne ero certa all'inizio e lo sono ancor di più, man mano che le pagine scivolano via sotto le mie dita, mi fermo, a momenti, perchè mi dico che dovrei assaporarle meglio, ma poi mi tranquillizzo pensando che non è che la prima delle letture, che ne seguiranno almeno altre due... così scorrono via, lasciando solchi nell'animo, racconti, poesie, dialoghi e aforismi che somigliano ad haiku, alle volte.

Lo riconosci il Maestro, seduto a un bar d'Alcamo in Sicilia e riconosci la sua voglia continua di tornare dalla Sicilia alla Sabina e viceversa, i suoi astratti furori prendono talmente forma nelle pagine che ti pare di poterli toccare, se sapessi dipingere, li dipingeresti. Ma tu non sei mica il Maestro! Lui dipinge, lui fa diventare il colore cosa viva, lo trasforma, ci gioca, lo fa danzare sulla tela, tu tieniti, al massimo, un po' d'immaginazione. 

Ti fermi e ti chiedi come faccia. In qualche modo riesce a intrapporlare la vita intera dentro le sue parole, senti le lacrime che scorrono sul volto, perchè alcune delle poesie ti commuovono, ti lasciano senza fiato. 

Mentre le leggi senti già che ti stanno scavando dentro. Non sai come sia possibile, alcune le vuoi rileggere tre o quattro volte, per ricordarle meglio.

Le foto, le immagini in bianco e nero che accompagnano le poesie e gli aforismi sono belle quanto le parole di cui sono cornice... Ti chiedi come puoi rimanere stupita a ogni voltar di pagina? Come fa il Maestro, che pur conosci bene, a sorprenderti in tal modo? Oh se solo ci fossero più uomini come lui capaci di sconquassarti l'animo solo con le parole! Che mondo migliore sarebbe.

Incontro Mattia. Vecchio amico mi pare tu sia. Da quanto tempo, Mattia! T'avevo lasciato da Lighea, ma non c'è da temere perchè c'è anche lei, anche sta volta, la sirena non manca a un appuntamento col Maestro, non sia mai.

E i ricci di mare. I ricci di mare. Ti commuovi leggendo dei ricci di mare e ti ricordi di quella sera.
Il caldo era così torrido a cena, a casa di David. E il Maestro aveva raccontato dei ricci di mare e Caterina, dolce come sempre, aveva tentato di fermarlo, di evitare, ma lui era impassibile e voleva narrare... Mentre leggo dei ricci di mare mi pare di sentire la sua voce, che risuona nella testa. 

E quelle parole scritte in maiuscolo dentro una poesia, sono urla. O forse no, forse sta volta non voleva che qualcuno stentasse su dove andasse l'enfasi e l'ha evidenziata, chiara e tonda, la parola chiave di ogni componimento. Quasi a dire: "è qui che l'intonazione fa un picco" e ti pare di sentirla, mentre leggi con gli occhi e il trenino corre verso Roma.

Oggi il viaggio sembra leggero, scorrono le stazioni e tu non te ne accorgi, io non me ne accorgo, perchè son lontana, son salita sulla nave con Mattia e ho incontrato una donna incantatrice su una spiaggia e mi sono meravigliata di ritrovarmi così tanto nelle sue speranze "che ogni volta riponeva in ogni nuovo amore, nella convinzione, ogni volta, di aver incontrato chi fosse capace di leggere oltre la sua evidente bellezza e penetrare nella sua anima assetata di vivere." 

E poi la storia del marinaio. Un mondo perfetto. Ricordo nitidamente quel pomeriggio in cui quell'idea balenò nella mente del Maestro e ce la raccontò e ora eccola lì, su carta, e quanto spero che l'invito venga colto che i mondi si moltiplichino e desidero tanto, magari, crearne uno tutto mio, forse è la volta buona che ci riesco...

La cosa più difficile che resta da fare ora è scegliere cosa leggere domenica. So già che il Maestro mi chiederà di leggere qualcosa e io ne sarò onorata, ma come si può riuscire a scegliere? Ancora una volta ci sono passi che mi lasciano senza fiato e che mi commuovono al punto che leggendoli a voce alta potrei non arrivare alla fine o potrebbe succedermi ciò che mi accadeva con "Il Male è nei Fiori", sentire un brivido lungo la schiena, tutte, ogni singola volta, e cercare di mascherare l'emozione trasformandola in recitazione.

Arrivo alla fine e riparto dall'inizio.

Sono pagine leggere e intese al tempo stesso, lo spazio bianco intorno alle parole sembra dire persino di più di quanto non facciano loro stesse.

Amore, vita, momenti, ricordi, viaggi e soprattutto arte, il pane, anzi, il pangrattatao siciliano, della vita del Maestro. 

Ogni cosa, personaggio, che speravo di ricontrare era lì ad aspettarmi, a braccia aperte.

Il genio artistico del Maestro, intatto, lo ritrovo tra le pagine. 

La sua voce sembra leggerle per me.

Eppure, c'è così tanto di nuovo che resto stupita e sbalordita, come di fronte alle macchie di colore acceso dei suoi quadri. 

Guardo il mio parziale dell'Omaggio a Paolo Uccello e lo confronto al bianco e al nero del libricino che ho sul grembo. 

Bianco e nero. 

Colori vivaci. 

Tutto nell'animo di una persona sola, si mescola e crea, dà vita a pagine memorabili e a quadri vividi che spiazzano e sgomentano. 

Tutto nell'animo di un grande artista, nell'animo di un grande per cui ogni definizione è stretta, Il Terzofuturista, ma soprattutto il mio caro amico, Baldo Savonari.

Ancora una volta, grazie per tutto questo vortice di emozioni che ha riempito la mia giornata oggi, come lo ha fatto la tua telefonata ieri.

Provo a regalarvene una, delle meraviglie del libro:

"Tu, nella notte mia più scura, forsti chiaror di luna."

(l'unico modo che ho per farlo è aprire il libro a caso, non vi riuscirei, altrimenti.)

E qui, poteve sbirciare i quadri del Maestro: www.baldosavonari.it