martedì 11 marzo 2014

Sulla via di ... Casa

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Una pila di cartelline sul tavolo.

Cartelline colorate da cui spuntano pezzetti di planimetrie.

La piccola agenda arancione che doveva essere un quaderno delle ricette, ma è diventata un’agendina di appunti “aggressiva” come l’ha definita qualcuno, attira l’attenzione con il suo colore acceso e con i disegnini armoniosi in copertina.

L’agenda, aperta, è quasi piena per metà, di appunti, di cose scritte e cancellate.



Se un bel giorno pensi: affittare una casa è una perdita di tempo e soldi, meglio acquistarne una.

Chi può biasimarti? Nessuno o tutti, già. Ma non fa molta differenza.

Resta il fatto che vuoi comprare una casa e che devi trovarne una.

E allora, che fai? Beh, inizi a pensare: dove le trovo ‘ste case?
Voglio una casa nuova o una vecchia? Good question.

La casa nuova …. Beh ha un sacco di cose di ultima generazione, ha i pannelli solari e il fotovoltaico, l’isolamento termico e quello acustico … puoi decidere il colore dei pavimenti e come vuoi dividere le stanze. Una meraviglia insomma. Non fosse che sta leggermente in culo alla luna. Se vuoi arrivare alla stazione, beh, volando ci impieghi poco. Ad avercele le ali! Però almeno hai il ristorante cinese (se vogliamo essere fiscali, ne hai due uno all you can eat e uno sfigato ma che cucina bene) a pochi passi da casa e il pub, quello che ti fa il filetto arrosto ottimo e ha la birra scura che è niente male.

Quelle vecchie … ce n’è di tutti i tipi.

Ma non è tanto la casa in sé per sé, ciò che mi colpisce davvero sono le persone che lavorano nel settore.

 I venditori di case.

Ma dico io, hai costruito appartamenti che già non sono un granché di loro, almeno vuoi metterci dentro qualcuno che sappia venderli? Anche solo imbastendo castelli in aria di stronzate, ma provaci per lo meno! No. Troppa grazia.

Primo cantiere. Case nuove, queste nemmeno troppo in mezzo al nulla, tutto sommato. Ufficio vendite ben nascosto. Ci arriviamo in qualche modo e ci accoglie una donna magra come uno stuzzicadenti, col viso scavato, un trucco eccessivo e scuro, ci dà il benvenuto con una voce prettamente maschile. Non ha idea di perché sia lì o cosa debba fare, tanto che ce ne andiamo con la sua promessa che ci avrebbe richiamati di lì a poco per vedere un appartamento, cosa che non è mai successa.

Sulla piccola agenda arancione degli “appunti case” prendo la penna e traccio una bella riga nera.

Case nuove non in culo alla luna   note: non le vogliono vendere.

Passiamo oltre.

Secondo cantiere. Case sempre nuove, esteticamente lasciano a desiderare dall’esterno, ma vabbè magari dentro son belle.


Ufficio vendite.

Di nuovo una donna, più alta di me, con due spalle così. Capelli con boccoli di un rosso finto, talmente finto che fa quasi ridere. I boccoli anche son finti, ovviamente. Voglio solo sperare che sia stata a un matrimonio il giorno prima e che non si pettini sempre in quel modo. Sul trucco … un cerone teatrale sarebbe stato più leggero. Una bocca spropositatamente grande è resa ancor più vistosa da un rossetto di uno strano color marroncino con l’interno troppo chiaro.
È vestita di blu petrolio. Pure le calze, ricamate come la tenda di casa di mia nonna, sono blu petrolio. Le scarpe no, sono grigio perla. Beh, mi sembra giusto. Mettere delle belle decolté grigio perla, tacco 12, per camminare sullo sterrato del cantiere. Ottima scelta, davvero.
Quando usciamo per vedere gli appartamenti, di cui, ovviamente, non ci ha saputo dire quasi nulla di utile, traballa. Noi ci teniamo a distanza, hai visto mai ci cada addosso.
Gli appartamenti sono trascurabili. Divisi male. Glielo leggo in faccia a Luk. Non lo dice, ma so che lo pensa. Inizio a capirlo persino io. Camere piccole, bagni in cui se per caso vuoi entrarci in due, se uno è al lavandino l’altro non ha modo di raggiungere la doccia.
«Grazie, ci pensiamo» prendiamo le inutili planimetrie che andranno a unirsi alle altre che stiamo accatastando e ce ne andiamo per la nostra strada.

giovedì 6 marzo 2014

Soffia Vento Nuovo - Capitolo I -Parte II

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Arrivato a casa aveva trovato Xiaoli, col solito sorriso smagliante, ad attenderlo. «Tesoro, eccoti finalmente! È arrivata questa, per te.» la mano di lei, dalla carnagione fin troppo chiara, quasi trasparente, teneva stretta una busta da lettera bianca. Xinfeng la prese in mano e non appena vide l’intestazione, il cuore iniziò a battergli fortissimo: era il ministero dell’istruzione e in quella busta, ne era convinto, c’era la risposta alla sua domanda per la borsa di studio per il master. Doveva solo trovare il coraggio di aprirla e leggerla. Xiaoli lo osservava perplessa, non sapeva nulla della domanda che il suo presunto futuro sposo aveva inviato, non sospettava nemmeno lontanamente che lui potesse avere anche solo una minima ombra di dubbio sul loro futuro insieme … «Chi è, chi ti scrive?» chiese mentre cercava di sbirciare il contenuto del foglio bianco che Xinfeng aveva tirato fuori dalla busta; lui prontamente lo ripiegò e se lo infilò in tasca in tutta fretta. «Devono aver sbagliato, boh! Esco a fare due passi.» disse con gran furia, sperando di riuscire nell’intento di confondere la ragazza. Xiaoli rimase senza parole e prima che si rendesse conto che Xinfeng era appena rientrato da una passeggiata, lui era uscito di nuovo e guardando fuori dalla finestra lo vide, di spalle, allontanarsi sul far del tramonto e svoltare l’angolo del piccolo vicolo in cui vivevano da tempi ormai immemori.

Xinfeng camminò lentamente, stringendo la lettera forte tra le dita. Non sapeva nemmeno lui cosa sperare. Se il ministero non aveva accettato la sua domanda, da un certo punto di vista, sarebbe stato più semplice, non avrebbe avuto molte alternative, avrebbe semplicemente dovuto continuare la strada che stava già percorrendo da anni, in silenzio, senza troppe pretese. Avrebbe continuato il lavoro che tutto sommato non gli dispiaceva, avrebbe sposato Xiaoli e forse sarebbe persino riuscito a essere felice, accontentandosi di quanto il dao, il destino, la vita avevano preparato per lui.
Il vero guaio sarebbe stato se il ministero avesse, invece, accettato la sua richiesta. Se da un lato questo era quello che sentiva di volere profondamente, si rendeva conto che avrebbe comportato un cambiamento grandissimo nella sua vita, un cambiamento di mondo, persino e non era sicuro che sarebbe riuscito a farcela, sebbene fosse sempre stato convinto che volere è potere. Ma. Grandi cambiamenti portano con sé grandi responsabilità. Poteva solo immaginare lontanamente come sarebbe stato dire a tutti che partiva, se ne andava, dirlo a Xiaoli, prima di tutto. E alla sua famiglia, poi. Dirlo a sua madre che non faceva altro che parlare con le comari, durante le partite di dama cinese, di quanto bello sarebbe stato quando il suo unico figlio si sarebbe sposato, di quanto dolce fosse la sua futura nuora; dirlo a suo padre che continuava a fantasticare sul giorno in cui sarebbe diventato nonno. Solo il pensiero lo faceva rabbrividire. Avrebbe deluso tutti se avesse fatto la scelta che più sentiva di desiderare. Avrebbe spezzato mille cuori per renderne felice uno soltanto, il suo.
Il suo futuro era in parte scritto nel contenuto di quella busta che aveva così paura a leggere. Poteva essere una condanna a una vita in un porto sicuro, o una possibilità per prendere il largo, in quel caso la scelta finale sarebbe comunque stata la sua. Solo la sua.



Gentile sig. Gua Xinfeng,

siamo lieti di comunicarle che lei risulta essere uno dei 3 vincitori di borse di studio per l’Europa per un biennio di master di specializzazione in design d’interni. Ci congratuliamo con lei e restiamo in attesa della sua conferma di disponibilità a beneficiare di tale onore.

Questo era quanto il responsabile del ministero dell’istruzione gli aveva scritto. Quanto bastava per mandarlo ancor più in confusione. Tutto quello che aveva visto nei giorni e nelle settimane precedenti come una possibilità, come un forse, chissà era diventato, improvvisamente reale. Aveva davvero vinto la borsa di studio e ora doveva solo decidere cosa fare, seguire il cuore e il desiderio o attenersi alla xiao, alla pietà filiale, così tanto cara al suo mondo ed evitare di far perdere la faccia sia alla sua famiglia che alla povera Xiaoli e alla sua di famiglia … non poteva immaginare cosa avrebbe dovuto passare quella poverina per colpa sua. Se iniziava solo a rifletterci tutto l’egoismo, la voglia di andar via, di stare bene svaniva. Se pensava che una persona a lui tanto cara quanto Xiaoli potesse dover affrontare le domande di un intero villaggio da sola, senza di lui a proteggerla, gli sembrava quasi di vedere le spalle magre della ragazza sovraccaricate di pesi enormi che le schiacciavano, molto di  più di quanto potesse sostenere.
La mente vagava talmente veloce e alternava pensieri talmente contrastanti che Xinfeng iniziò a preoccuparsi per la sua salute mentale, forse stava impazzendo. Forse era quella la causa di tutto. Stava diventando matto. Ecco tutto.
C’era forse nell’intero quartiere solo una persona che poteva capirlo e persino aiutarlo se il destino era propizio. E lui non aveva nulla da perdere, poteva solo tentare.

Attraversò la strada, svoltò verso est, poi a ovest e di nuovo a est, percorse tutto lo stretto vicolo e raggiunse casa di Lao Han. Lao Han, o Maestro Han come molti lo chiamavano, era un anziano saggio signore che passava la gran parte del suo tempo, quando non era intento nella pratica del taijiquan, a fissare l’acqua cristallina del laghetto nell’aia dietro la sua casa. Casa di Lao Han era una delle poche case di stile antico del quartiere, forse l’unica, con il cortile interno e le stanze disposte sui quattro lati ed era sempre appartenuta alla famiglia dell’anziano signore che l’aveva costruita per sentirsi meno straniera quando era giunta sull’isola di Taiwan emigrando dall’entroterra della Cina Continentale.

Arrivato a casa di Lao Han sua moglie gli aveva offerto del tè, ma lui aveva declinato gentilmente dicendo che ne aveva già bevuto abbastanza nella sala dei mille fiori e ora voleva solo vedere Lao Han per un paio di minuti.
La signora Penghua era buona e mite, ma soprattutto era abituata ad avere visite di continuo, tutti nel quartiere andavano a chiedere consiglio a suo marito ad ogni ora del giorno e, nei casi estremi, anche della notte; chiunque altro si sarebbe infastidito, ma non la signora Penghua, lei sorrideva e offriva una buona tazza di tè caldo, era fatta così.
Xinfeng attraversò il cortile e andò dritto verso il laghetto. Lao Han, come ogni sera al tramonto, era intento nell’osservare i giochi di colore che i raggi del sole creavano sulla superficie dell’acqua «Xinfeng, pensavo proprio a te» disse a bassa voce l’anziano signore, senza neppure voltarsi. Xinfeng rimase a qualche passo di distanza, ogni volta che era accanto al suo vecchio maestro sentiva la pace dentro il petto, gli bastava guardare quella figura curva, poggiata sul bastone contro il tramonto, quella testa tonda, calva e lucida per sentirsi meglio, sollevato. Lao Han non si voltò, continuò a parlare guardando l’acqua.
«Dimmi, ragazzo mio, cosa c’è che rende il tuo animo così oscuro in questo bel pomeriggio?»
Xinfeng non si era certo meravigliato che Lao Han riuscisse a percepire con tanta facilità il peso che gli opprimeva l’animo, anzi, era quasi contento che senza bisogno che parlasse il suo maestro –Xinfeng aveva studiato taijiquan per diversi anni da adolescente- sapesse già che qualcosa di grave gli stava accadendo e stava turbando il suo animo in tumulto.
Quando il ragazzo, seduto sul bordo del laghetto, con i lunghi capelli neri raccolti in un codino e gli occhiali da sole a nascondere gli occhi arrossati dalle lacrime del cuore, ebbe finito di raccontare tutto quello che gli stava succedendo, Lao Han che gli dava le spalle e aveva continuato a guardare le vibrazioni e le increspature sulla superficie dell’acqua del laghetto, disse con tono sicuro ma delicato al tempo stesso:
«C’è solo una cosa che posso dirti, Xinfeng. La barca, quando arriva al ponte, svolta da sola.»
Xinfeng lo sapeva bene, Lao Han non era uomo di molte parole ed era sempre necessario scavare un po’ per coglierne il senso profondo, ma questa volta quanto il maestro aveva detto sembrava, agli occhi del ragazzo, cristallino.
Xinfeng aveva capito tutto e non aveva dubbi che la sua di barca stesse per svoltare. L’unico dubbio restava: in quale direzione?  Oriente o occidente?

mercoledì 19 febbraio 2014

Tradurre o/e Interpretare

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Normalmente e tecnicamente, il "Traduttore" è colui che traduce testi in forma scritta, lavora di solito con un arco di tempo a disposizione e ha modo di rivedere e revisionare, limiare il suo testo in lingua d'arrivo. L'"Interprete" anch'egli traduce, ma la sua traduzione è in forma orale, viene effettuata a distanza più o meno breve (in modo simultaneo o consecutivo) alla produzione dell'oratore. Non ha mai o quasi mai modo di correggere o sistemare il prodotto del suo lavoro, perciò l'interpretazione, rispetto alla traduzione, può esser considerata ad uso più immediato.
Inoltre, la traduzione scritta rimane ed è consultabile nel tempo, mentre l'interpretazione svanisce al suo termine.

Questo vale per la figura dell'"interprete" e quella del "traduttore", ma se passiamo ai verbi allora tutto cambia ... quando trasformiamo un contenuto espresso in forma orale o scritta in una determinata lingua, in uno identico, ma in un altro idioma, stiamo traducendo. E ogni qual volta traduciamo non possiamo far a meno anche di interpretarlo, il testo, perché, appare logico che ogni traduzione è il frutto dell'interpretazione del testo di partenza da parte del traduttore/interprete professionista che lo affronta.

Dunque, se teoricamente la distinzione professionale tra interprete e traduttore possa esser abbastanza netta, tuttavia, nella pratica per tradurre interpretiamo e traduciamo interpretando.

lunedì 11 novembre 2013

Soffia Vento Nuovo --刮新风 ---Dall'altra parte: Capitolo 1

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Dall'altra parte

Capitolo I

Vento Nuovo




Forse il vero problema era che si sentiva in gabbia, chiuso.

Alle volte gli sembrava persino di respirare a fatica, come se le pareti della sua stanza lo volessero schiacciare, come se ci fossero spesse sbarre di ferro tutto intorno a lui.
Era stufo, stanco, depresso e persino malinconico.
Si sentiva intrappolato in una vita che non voleva, non aveva nemmeno avuto il tempo di capire, di elaborare: era successo tutto velocemente, troppo velocemente e ora ne subiva le conseguenze. 
C’erano dei momenti in cui cercava di ricordare, si fermava, si guardava dentro e si chiedeva che fine avessero fatto i sentimenti che aveva provato in passato, quelle emozioni, quei sussulti e soprattutto si domandava dove fosse finito l’amore. Provava a ricordarlo, ma, certo, questo non era sufficiente, non si può vivere un’intera vita col solo ricordo dell’amore.
Quando Xiaoli era vicino a lui, quelli erano i momenti peggiori. Perché la guardava e non sentiva niente. La stringeva, la baciava e provava con tutto se stesso ad amarla, a ricordarsi com’era stato in precedenza, a ripensare a quanto gli piacesse stare con lei, all’inizio, a quanta gioia gli desse passare del tempo con lei, a quanto fosse emozionato alla sola idea che l’avrebbe vista, che avrebbe baciato le sue labbra morbide, ma era tutto inutile e lui era furioso con se stesso.
Si odiava.
Perché si rendeva conto benissimo che la povera Meng Xiaoli era sempre la stessa, tale e quale. Aveva spuntato i lunghi capelli corvini nell’ultimo mese, questo sì, ma la cosa che più lo spaventava era il suo essere sempre uguale dentro, nel profondo. Devota, gentile, sorridente, affaccendata, amabile, piena di piccoli gesti e pensieri per lui.
Da quasi otto anni era tutto questo, senza cambiare mai, senza un tentennamento, lei era sicura di tutto e lo era più di ogni altra cosa del fatto che volesse passare il resto della sua vita con lui.
Avevano finito le scuole superiori insieme, lui aveva iniziato e finito l’università, mentre lei s’era dedicata al lavoro, da subito, aveva cominciato a fare la commessa in un negozio di vestiti di un famoso marchio occidentale, che aveva aperto da relativamente poco in città.
Xinfeng ricordava nitidamente quando era felice di vederla la sera, quando il cuore gli accelerava quando la passava a prendere a lavoro, quando ridevano e parlavano di tutto con un’armonia che non credeva potesse finire. Erano momenti belli, perché Xiaoli era il suo grande amore, quello che –ne era convinto- non sarebbe finito mai, non poteva finire. Eppure, ora, come per un incantesimo lanciato per dispetto da una strega cattiva, era finito. Dentro di lui, era finito tutto. Non c’era verso di riportare indietro quei sentimenti e piano, piano aveva iniziato a distaccarsi da lei; aveva iniziato a fare altri sogni, a immaginare una vita in cui lei poteva non esserci e non cambiava poi tanto. Ricordava nitidamente di progetti fatti insieme, guardando il cielo stellato e le luci della città sotto di loro in cima a Yangming Shan, di come sarebbe stata la loro casetta, di quali mobili avrebbero scelto … avevano persino deciso di che colore sarebbe stata la cucina, cosa avrebbero mangiato a colazione e come si sarebbero alternati per fare le pulizie di casa … Ripensando a tutto ciò, Xinfeng sentiva un dolore forte alla bocca dello stomaco, gli dispiaceva da morire, ma non poteva farci niente, non l’aveva mica fatto di proposito! Era solo che quelli, a un certo punto, avevano smesso di essere i suoi sogni, le sue speranze per il futuro. Forse, in parte, era stata colpa/merito dei suoi studi, che gli avevano fatto guardare oltre, aveva studiato design e il mondo si era aperto davanti ai suoi occhi come un tappeto magico che si srotola piano piano tirando giù immagini, visioni e pensieri che non immaginava nemmeno potessero esistere.


«Non devi preoccuparti di niente, ci penso io tesoro, ho già parlato con tua mamma, organizzeremo tutto, sarà un giorno memorabile.»

Così gli aveva detto Xiaoli qualche giorno prima, proprio mentre erano giorni che lui non riusciva a pensare ad altro se non a quanto avesse una voglia incontenibile di cambiare le cose, di dare una svolta alla sua vita, che sembrava sempre di più una trappola che gli si stringeva addosso senza possibilità d’uscita alcuna.
Solo quando Xiaoli aveva finito di parlare e lo aveva guardato con gli occhi pieni di luce, lui si era reso conto che lei voleva sposarlo, sul serio. E da quel momento niente era stato più come prima: aveva iniziato a sentirsi ancor più stretto, a disagio e sempre più dubbi si erano fatti strada nella sua mente confusa.
Cosa fare? Sposare Meng Xiaoli era davvero la scelta migliore? Era la vita che desiderava o stava buttando via la sua giovinezza? E poi c’era quella domanda, c’era quel modulo che aveva compilato e inviato in un mondo lontanissimo di cui aveva solo letto, solo sentito parlare, ma che gli permetteva di tenere accesa una piccola luce di speranza nel buio che vedeva prospettato davanti a sé.
Con tutte queste e molte altre domande che si alternavano nella sua testa, aveva pensato di chiedere aiuto a qualcuno che potesse dargli una mano, un consiglio, un suggerimento.

Era andato, per prima cosa, alla sala da tè dei mille fiori, dove si riunivano solitamente i suoi amici, a cercare Liu, il suo compagno di avventura, ma aveva dimenticato che lui era anche amico di Xiaoli e che erano cresciuti insieme, tutti e tre. Liu vedeva le cose in modo parziale, non poteva essere oggettivo. «Secondo me hai solo paura di non essere all’altezza! Tu non sei poi niente di speciale, ma sei molto fortunato. Hai trovato un buon lavoro in quello studio a due passi da casa, la tua famiglia ha scelto per te una donna che conosci bene, di cui sei invaghito da quando eri un ragazzino e ora lei vuole sposarti, qual è il problema? La tua vita non potrebbe prendere piega migliore di questa! Cretino che non sei altro!» detto questo Liu si era alzato dal tavolo e lo aveva lasciato lì, solo come un cane, più confuso di prima a guardare le foglioline verdi che ballavano allegre schiudendosi nell’acqua della sua tazza da tè. Quello che aveva detto Liu era giusto, di base. Chi avrebbe potuto desiderare di più? In fondo dalla prospettiva del suo amico lui era solo uno sciocco e forse aveva ragione. Ma la questione era esattamente quella: prospettive. E la sua di prospettiva era completamente diversa. Perché lui non riusciva ad accontentarsi, a sentirsi bene con quello che aveva ad arrendersi a una vita che sarebbe stata – per quanto felice, magari- mediocre e banale; no, lui voleva di più, voleva vincere quella borsa di studio per cui aveva mandato una domanda solo per gioco e andarsene via, cambiare tutto, diventare chi davvero sentiva di essere, anche se ciò avesse significato lasciare tutto e ricominciare da zero in un mondo nuovo.
Era rimasto seduto immobile finché il cameriere non gli aveva gentilmente chiesto di lasciare il locale, perché era ora di chiusura. Liu non l’aveva aiutato, anzi, aveva peggiorato le cose facendolo sentire terribilmente in colpa e ancora più confuso. Si chiedeva perché, se Xiaoli era davvero la donna del suo destino, il suo cuore non ne fosse affatto certo, ma non trovava risposte, se non nel fatto che era lui il problema. Era lui ad essere cambiato negli anni, a essere cresciuto e diventato qualcuno di diverso dal ragazzino troppo magro, coi capelli a spazzola e i pantaloni della divisa del liceo troppo larghi che Xiaoli aveva conosciuto e di cui allora s’era innamorata.
Quel giorno se lo sarebbe ricordato per sempre con un affetto, una tenerezza e una nostalgia incredibile, anche se, si rendeva conto che era ormai diventato nulla più che un bel ricordo da conservare nel profondo cuore.
Il primo giorno che aveva visto Xiaoli a scuola. Xinfeng stava passando accanto alla finestra della sua classe, per sbaglio, aveva guardato dentro e aveva incrociato lo sguardo brillante, acceso della ragazza. Era bastato quello per far partire la scintilla. E il resto era venuto da sé con una facilità indicibile, un amico in comune e il più era fatto. Tutto il batticuore, tutto quell’amore che aveva nutrito per lei … svanito, per sempre.

Mentre camminava verso casa i pensieri viaggiavano veloci indietro nel tempo, cercando di ritrovare quel punto, un momento preciso in cui le loro strade s’erano divise per sempre, senza via d’uscita o di ritorno; ma non era semplice trovarlo, affatto.

lunedì 10 giugno 2013

Next Stop, Lionfield

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Liberamente tratto da una storia vera.
 
L'ennesimo fracasso delle ruote sui binari, un altro treno che passa e corre via, il giorno è ancora troppo giovane per uscire.

Apre appena un occhio, l'altro è troppo stanco, resta chiuso, controlla che tutto sia in ordine, che la sua compagna sia dove l'ha lasciata qualche ora prima, addormentata al suo fianco e, in effetti, è lì.

Torna a dormire, ma non ci riesce. Gli sembra impossibile, eppure dentro la testa inizia a sentire un leggero brusio, prima lontano, appena percettibile, poi sempre più forte. Un brusio raro quanto inconfondibile. Qualcuno sta parlando di loro, da qualche parte.

Ma chi può essere? Ma come può essere?

La storia della loro presenza, la leggenda della loro esistenza in quella zona è dimenticata da tempo, eppure quel rumore, diventato ora assordante, lo sa bene, è l'inconfondibile segnale d'allarme.

Si alza, svogliatamente, sulle possenti zampe, muove un po' il collo intorpidito e sistema la criniera folta, scomposta.

Lyla, la sua amata compagna, apre gli occhi ambrati e gli lancia uno sguardo interrogatorio. Vuole sapere perché si è alzato così presto e dove stia andando, in pieno giorno. "Sei impazzito davvero, allora!" dice, senza bisogno di proferir parola, solo col pensiero. 

"Non lo senti, il ronzio?" Lyla lo guarda, sempre più contrariata. Non sente niente, dice. Poi, balza in piedi e con uno scatto agile e sinuoso gli si affianca, sull'uscio della grotta. "Sì, sì... ora lo sento anche io! Odio doverlo dire, ma io te l'avevo detto, quello che hai voluto fare l'altro giorno lo sapevi che avrebbe avuto conseguenze e causato problemi." è ancora infuriata, Luk lo sa bene, ma non ha potuto farne a meno. 

Lui non è certo un leone bianco qualsiasi, il ciuffo di pelo corvino che ha proprio al centro della criniera candida è un simbolo della sua missione e lui deve portarla avanti, almeno le rare volte in cui se ne presenta l'occasione. "Sei così preso da questa tua missione da voler uscire allo scoperto, alle volte mi sembra davvero che dimentichi che questi sono tempi nuovi, nessuno più ti conosce o sa cosa significhi una tua apparizione." Così gli aveva detto Lyla qualche sera prima, quando era tornato, dopo esser apparso, in sogno a un giovane essere umano. Prima che uscisse lei aveva tentato di convincerlo che sarebbe stato inutile andare, ma lui era stato irremovibile.

C'erano cose che Lyla non poteva capire. 

C'erano tempi felici che la sua giovane compagna non aveva conosciuto, non poteva ricordarli, lei che da quando era arrivata sulla terra non aveva fatto altro che passare i giorni nascosta in quella buia caverna e le notti a dilettarsi in cacce di pasti frugali in una terra sempre più brulla. 

Lyla non sapeva com'era la vita quando gli umani amavano e veneravano i grandi leoni bianchi; quando un'apparizione in sogno del sommo leone dal ciuffo nero a un innamorato era vista come una benedizione, come il segno ch'egli aveva trovato il vero amore. 

Ma erano tempi lontani quelli, Lyla su questo non aveva torto. 

Ormai nessun membro del genere umano si ricorda più dei possenti leoni bianchi, figli dei maestosi leoni d'argento, guardiani delle trame del destino. Luk era stato inviato sulla terra da suo padre quando era giovanissimo paladino dell'amore vero e aveva avuto la fortuna di esser stato raggiunto, secoli dopo, dal suo, di vero amore. Negli ultimi anni il suo lavoro era diventato sempre più noioso e poco interessante, gli umani smettevano, uno dopo l'altro, di credere nell'amore e il grosso sonaglio d'argento che portava appeso al collo possente suonava sempre più di rado per dirgli che un incontro del destino era avvenuto.

Aveva atteso a lungo perché succedesse, aveva continuato a sperare che qualcuno, prima o poi, avrebbe trovato quell'amore che non si incontra che una volta nella vita, quello che fa brillare di più le stesse in cielo e apparire il leone bianco. 

Come avrebbe potuto ignorarlo, quando era successo? 

Aveva lasciato la sua grotta e si era precipitato fuori, aveva localizzato la posizione di quel giovane cuore innamorato e si era staccato dal suo corpo fisico per materializzarsi nel mondo parallelo dei sogni. Era convinto, il leggendario leone, che un cuore capace di provare un sentimento così puro,  l'amore vero, avrebbe anche capito che l'incontro onirico con un animale dalle fattezze così singolari,  avesse un qualche significato anche se non poteva, ovviamente, sapere quale esso fosse.

Luk, dalla porta della grotta, scruta l'orizzonte. "Qualsiasi cosa stia succedendo, chiunque stia parlando di noi, ti vieto di uscire in pieno giorno." Lyla è terribilmente seria e il suo sguardo, il leone dal ciuffo lo sa perfettamente, non mente mai. "Va bene, non mi muovo da qui. Posso almeno provare a estendere l'aurea e scoprire chi sta parlando di noi? Capita così di rado di avere un qualche diversivo, posso almeno essere curioso?" la leonessa non lo degna di risposta, si limita a sdraiarsi, apparentemente cheta, accanto a lui e a socchiudere gli occhi. 

Luk spalanca i suoi occhi cerulei e concentra l'energia. Due raggi di luce si diffondono nella vallata di campi di grano arati, con le balle già pronte per esser conservate, seguono il segnale che continua a risuonare nella mentre del leone bianco...

Un nasetto piccino, a patata, schiacciato contro il finestrino. Due occhi neri spalancati che si guardano intorno, curiosi e guardinghi. Un grosso libro di favole abbandonato sul sedile accanto. Il bambino, camicetta a quadrucci blu e rossi, si è arrampicato in piedi sul sedile per guardare meglio fuori dal finestrino. 

"Next stop, Lionfield" ripete l'alto parlante del treno. 

Il bimbo guarda fuori con maggiore intensità, il treno si ferma e poi riparte. 
Il bimbo sembra deluso, disilluso, persino. 
Torna a sedersi e riprende il libro. 
Guarda sua mamma, seduta di fronte a lui,, e con l'espressione più seria che riesce a trovare nel suo repertorio di bambino dice: "No, non capisco proprio, qui il campo c'è, eccolo, ma io i leoni non li vedo!" sua mamma abbozza un sorriso, ma prima che possa dire qualcosa il bimbo si fa pensieroso e continua: "Bah, forse hanno mangiato troppo a pranzo e ora dormono, nascosti da qualche parte." 

Dopo secoli in cui nessuno ha mai preso sul serio il nome che gli antichi hanno dato a quel posto, c'è finalmente un animo abbastanza sensibile da aver fatto il collegamento tanto palese quanto inafferrabile: Lionfield non è che il luogo in cui da millenni il leone bianco dal ciuffo nero, guardiano degli amori destinati, dimora.

Quel bambino merita un regalo, non serve disubbidire a Lyla, Luk può restarsene nella sua grotta e creare una proiezione astrale... un ologramma di solo qualche istante, per la buona causa di non far spegnere il barlume di fiducia nel fiero sguardo degli occhi neri di quel bimbetto.

"Mamma, mamma, no! M'ero sbagliato! Guarda là! C'è un grosso leone bianco col ciuffo nero laggiù, guarda!" il bimbo è di nuovo schiacciato contro il vetro, la mano di sua mamma lo fa tacere, un dito sulle labbra: "Mattia, caro, quante volte ti ho detto di non inventare storie? Qui non c'è nessun leone, è solo un nome, come un altro." 

Ha fatto il suo dovere d'adulta e ha tentato di riportare suo figlio coi piedi per terra, ma a vedere quella convinzione nello sguardo del suo piccolo uomo, qualche dubbio le viene e con la coda dell'occhio sbricia fuori dal finestrino, ma non vede un bel nulla, d'altronde la proiezione di Luk è invisibile ai più...