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Tra sogno e realtà
Prologo
Come in un velo avvolto dalla
notte, di fronte l’acqua del porto più scura del cielo e la luce all’orizzonte
troppo lontana, la porta d’ingresso troppo chiusa.
Resta seduto, contro il muro
della notte, con gli occhi scuri pieni di quella luce brillante che li
caratterizza … contro il muro della notte è seduto, le troppe borse pesanti
–tutta la vita dentro- troppo pesanti per continuare a trascinarle. Solo la
custodia nera, bislunga, è tenuta ferma dal suo braccio, non che il suo basso
sia in pericolo in quella landa sperduta.
Seduto scruta l’orizzonte, deciso
a passare la notte così, fermo, con la sigaretta – appena accuratamente
preparata con cartina e tabacco- stretta tra le labbra, gli occhiali da sole
sulla testa, le gambe accavallate e il sorriso beffardo stampato sul volto. La
divisa della marina è troppo scomoda, ha slacciato i primi bottoni della
camicia ed è fermo lì ad aspettare, a misurare il futuro che lo attende
all’alba, a chiedersi in quali porti finirà lungo la sua via.
Se qualcuno le avesse chiesto di
dipingere Eddie Wolf, questo sarebbe stato il suo quadro. I colori sarebbero
stati tenui e acquerellati, per creare un’atmosfera da sogno. Così lo avrebbe
ritratto, se glielo avessero domandato, se solo avesse saputo dipingere. Lei di
colori, tele e pittura ne capiva ben poco, ma quell’immagine, quella sola,
avrebbe voluto saperla disegnare, per far sì che non si sciupasse nei meandri
curiosi della memoria, perché lui non svanisse mai dai suoi ricordi. Quando l’aveva
conosciuto lei, Mr. Wolf non era più nella marina da tempo, faceva invece un
lavoro che permetteva al suo cervello di “lavorare al minimo” e questo poco gli
si addiceva, si limitava a passare il tempo, anche se si prendeva cura del suo
cane con devozione. Lei lo avrebbe voluto vedere su una nave pronta a salpare o
le sarebbe piaciuto partecipare a uno dei suoi concerti quando ancora non aveva
deciso di appendere il basso al chiodo. Per questo l’immagine che indelebile le
sarebbe rimasta nel cuore di lui sarebbe stata quella, come un quadro della
memoria.
Sono
i singoli istanti a creare l’eternità, recita un detto cinese e se per una
volta bastasse cambiare un istante per avere un risultato diverso? Cosa
accadrebbe? Il limite tra sogno e realtà, tra verità e finzione non si
assottiglierebbe forse? E non nascerebbe così tutt’un’altra storia, o forse
sempre la stessa ma con un istante soltanto diverso …
Una
sosta breve, niente di più. Così aveva detto il capitano mentre la nave attraccava
al porto minuscolo dell’altrettanto minuscola isola di Headsea. Un’isola
talmente insignificante che sulle carte nautiche non era nemmeno segnata, un
puntino in mezzo all’oceano o poco più.
Miss
Alice Bridge era sul ponte e vedeva quella terra avvicinarsi sempre di più, la
linea retta dell’orizzonte si frastagliava, sembrava ricamata e i ricami
divenivano i profili sempre meglio delineati di casette bianche di marmo con i
bordi rossi, tutte simili e tutte allineate le une alle altre, come sull’attenti,
a dare il benvenuto.
Non
sarebbe scesa dalla nave lei, cosa gliene importava, in fondo? Voleva solo
arrivare il prima possibile a destinazione, iniziare il prima possibile quella
terribile vita che l’aspettava dall’altra parte del mondo. Un giorno in più o
uno in meno su quella nave non le avrebbero cambiato niente, le speranze, i
sogni, le idee le aveva gettate a mare quando era salita a bordo, vuota come
una scatola in disuso.
Vedeva
tutti i passeggeri, ordinatamente, lasciare il vascello e non provava nulla. Le
casette bianche, linde sotto i raggi del sole cocente non la emozionavano, lei
aveva indossato la maschera più rigida tra quelle che aveva potuto costruire
una ragazza della sua età, quella più spessa di tutte ed era diventata
spettatrice del mondo, non più attrice protagonista. Lo era stata, lei,
attrice, aveva vissuto davvero, ma suo padre aveva deciso per lei e poco c’era
da fare se non salire su quella nave e andare fin nell’altro mondo a
condividere la vita con un perfetto sconosciuto.
«Miss
Bridge, la nave verrà svuotata e pulita, dobbiamo fare manutenzione, ci
fermeremo qualche giorno in più sta volta, deve scendere anche lei.» al
capitano non si poteva non dar retta, così anche lei fu costretta a lasciare la
nave.
Il
porto, ancor più piccolo di quando le fosse sembrato dal ponte, fremeva di vita
e lei guardando dritta davanti a sé, iniziò la ricerca della locanda in cui
avrebbe alloggiato. Il pontile era gremito, pieno di personaggi singolari, lei
li scansionò tutti con lo sguardo, uno dopo l’altro. Dall’ex allenatore di
calcio ritirato sull’isola per trovare pace e serenità, al giovane con i
capelli tutti rasati che blaterava storie e cercava di convincere il suo gruppo
di amici della fattibilità dell’idea di marchiarsi a fuoco sulla pelle una
scritta che avrebbe rappresentato il suo inno al menefreghismo più puro.
Camminava
dritta, Miss Bridge, e più si guardava intorno imbarazzata, più si accorgeva di
esser finita in una terra in cui di donne sembrava non essercene affatto. Ormai
si era abituata a passare il tempo circondata da soli uomini sulla nave, ma non
si aspettava che anche a terra poco sarebbe cambiato … arrivata alla porta
della locanda trovò lì alcuni dei suoi compagni di viaggio a cui, durante le
noiose ore di viaggio in nave, aveva iniziato a dare lezioni d’inglese. Erano
tutti marinai italiani, tranne il capitano, la nave era arrivata a Portsmouth a
prenderla direttamente dal porto di Genova. Avrebbe continuato il suo lavoro
anche in quei giorni passati a terra, lei non lasciava mai le cose incompiute e
nel lavoro era professionale e impeccabile.
Il secondo giorno sull’isola, così, si mise subito
a lavoro. Doveva occupare il tempo, temeva che quei giorni sarebbero stati infiniti. E mentre i marinai si
alternavano nello scaricare tutto il contenuto della nave, lei, seduta sul
pontile, faceva lezione a chi era di riposo. Mentre insegnava non alzava quasi
mai gli occhi dal libro, non riusciva ad abituarsi agli sguardi insistenti dei
suoi allievi e nessun abito che metteva sembrava essere mai sufficientemente
accollato perché il suo seno sufficientemente prorompente non attirasse lo
sguardo. Quel giorno, mentre ripeteva per l’ennesima volta la differenza tra simple past e present perfect, alzò gli occhi, per controllare che tutti la
stessero seguendo e … un paio d’occhi neri, come fulmini a ciel sereno. Un
sorriso birichino, come quello d’un ragazzino di cinque anni che ha appena
combinato un guaio e fa finta di niente o che ha appena messo gli occhi su un
gioco nuovo che sa già che non potrà avere.
Li
avrebbe ignorati, ovviamente, la sua mente analitica ormai li aveva già passati
allo scanner, ma lei avrebbe proseguito con la lezione e tutto sarebbe filato
liscio. Si sarebbe concentrata sul lavoro, almeno quello le era rimasto, anche
se per poco tempo.
La
vita sull’isola diventò presto monotona, lezione di mattina e di pomeriggio,
qualche ora di lettura nella sua stanza e notti insonni a pensare a quello che
l’aspettava, al futuro grigio che si prospettava all’orizzonte. Solo, come un
raggio di luce, c’erano quegli occhi, c’era quel sorriso furbo sul volto di un
marinaio della barca attraccata accanto alla sua, una molto modesta, ma ben
tenuta. Mentre faceva lezione, sebbene non lo facesse coscientemente, alzava
gli occhi e incrociava quelli, ogni singola volta. Caso? Sì certo, si ripeteva.
E andava avanti, senza pensare, come aveva imparato
a fare allenandosi poco alla volta sulla nave per non lasciare che nessun pensiero o emozione scalfisse la
sua maschera spessa; ma prima di andare a letto, la sera, non riusciva a non
pensare, per un istante o due al sorriso che lui le aveva lanciato di sfuggita
durante la giornata. Era come se sapesse quanto faticoso fosse insegnare
l’inglese a chi proprio non voleva impararlo … quel sorriso sembrava, in
qualche strano modo, arrivare nel profondo, tagliente come lama, e penetrare la
sua maschera tanto ben costruita.
Quei
sorrisi di soppiatto, quegli sguardi che era sempre pronto a lanciarle mentre gli
passava accanto per tornare alla locanda e lui, sigaretta tra le labbra e
camicia della divisa da marinaio con qualche bottone slacciato, beveva una
birra con la gente dell’isola.
Una
sera Miss Bridge non riusciva a prendere sonno, la sua stanza era troppo calda,
sembrava mancarle l’aria, così andò a fare due passi, sperando di trovare un
po’ di brezza sul pontile.
E
lui era lì, seduto, solo contro il muro della notte. Teneva qualcosa in braccio
e lei non sapeva cosa fosse, non riusciva a capirlo perché nascosto dalla
notte, si avvicinò ancora
«Dunque
britannica e va in America, non male …» la sua voce era gentile, spiritosa e
con un filo di sarcasmo quasi come se volesse prenderla in giro, lei abbozzò un
sorriso e ne approfittò per studiare lo strumento a corde che teneva lui in
braccio. «Cosa ci fa qui con un basso elettrico?» chiese senza troppi indugi,
anche alla curiosità aveva deciso di rinunciare da un pezzo. «Lo suonavo. Ma su
questa fottuta isola non posso, non c’è corrente elettrica.» «Un bassista!»
«Ora mi vuole raccontare che sa cos’è un basso?» lei arrossisce, la musica
nuova, il rock, non si addice a una
ragazza di buona famiglia, la musica classica dovrebbe ascoltare … «Sì. Mi
piace il rock.» perché gliel’ha detto? Che motivo c’era? Lui sorride e finge,
con la mano sulla tastiera di mettersi a suonare. «Dunque se non può nemmeno
suonare perché rimane qui?» «Non è il massimo, ma qui ho un lavoro al porto,
manutenzione delle navi e cerco di guadagnare quanto basta per ripartire.» il
marinaio indica la barca armeggiata poco distante «Quella è mia, ma non ho
soldi per il carburante, non arrivo lontano.»
«Non
è un lavoro monotono quello che fa al porto?» chiede lei, lui le fa cenno di
sedersi, lei resta in piedi. Aveva deciso che non avrebbe mai più parlato con
altri ragazzi all’infuori di quelli già sicuramente sposati –come tutti quelli
sulla nave che suo padre aveva attentamente selezionato- o che conosceva da
molto tempo e stava infrangendo tutte le regole, in una volta sola. «Un lavoro
che ti fa lavorare il cervello al minimo», lui riaccende la sigaretta che si
era spenta, l’ha fatta lui, con tabacco e cartine, dice che lo fa per
risparmiare un po’ di più «Butterà via i polmoni» sentenzia Miss Bridge, con un
velo di fastidio nella voce, non per quello che ha appena detto, ma perché sente
che le importa davvero dei suoi polmoni. Lui sorride. Visto da vicino quel
sorriso toglie davvero il fiato. Miss Bridge non lo saluta, torna indietro,
lungo il pontile e vorrebbe voltarsi a guardarlo, vorrebbe sapere se la sta
seguendo con lo sguardo, ma non lo fa. È rischioso e lei ha scelto di tenersi
lontana dai rischi.
Miss
Bridge era arrivata in largo anticipo per la lezione e non si era accorta di
lui, finché non aveva incrociato il suo sguardo e lui, pronto, le aveva regalato
un altro sorriso. Dolce e beffardo allo stesso tempo, stava giocando con lei o
cosa? Si chiedeva la ragazza che stava entrando lentamente in confusione ancor
prima di rendersene conto. Il fatto che io lo incontri spesso e che lui sorrida
è gentilezza, è solo un caso. Caso? Sì certo. Continuava a ripetersi lei. Poi,
ancora in attesa degli studenti ritardatari, lo aveva guardato bene, una delle
poche volte in cui lui era voltato e non se ne era accorto. Non era bellissimo,
non quel bello che toglie il fiato, ma con un fascino tutto particolare.
E poi, e poi c’era quella forza incontrollabile e
inspiegabile, che la spingeva verso di lui. Era una forza che aveva provato tanto tempo prima, ma che aveva
abbandonato insieme alla speranza di sentire il battito del cuore aumentare,
insieme alle emozioni, quando aveva lasciato le rive britanniche. Ma poco
importava il fiato corto che le veniva, poco importava quel battito di cuore
che vederlo venire nella sua direzione le suscitava, lei era stabile e posata e
poteva tenere tutto sotto controllo, ovviamente. Non aveva mica quindici anni,
lei, non si sarebbe fatta mettere sottosopra da un paio di begli occhietti e da
un sorriso, figuriamoci, non poteva neanche permetterselo. Era solo il cretino
di turno, questo si diceva, di continuo, come se fosse sufficiente per
cancellare le emozioni. Farà così con tutte le ragazze che arrivano sull’isola,
di sicuro, devo smetterla di pensarci.
Doveva
passare il tempo, a sentire qualche racconto dei marinai alla sera non c’era
poi nulla di sbagliato, il capitano le aveva chiesto di unirsi a lui per cena e
lei non poteva rifiutare, non poteva dire no ad uno dei più cari amici di suo
padre.
Ed
è così che si ritrovano seduti allo stesso tavolo. Fianco a fianco. Il
ginocchio tocca il suo. E qualche brivido, che vorrebbe fingere di non provare,
parte lungo la spina dorsale. «Miss Bridge, questo è Eddie Wolf. Il signor Wolf
è stato nella Royal Navy insieme a me per quasi un anno tempo fa, poi ha
lasciato tutto, comprato la sua barca e l’ho perso di vista per anni!.» lui
allunga il braccio per farle il baciamano. La sua stretta è dolce, il tocco
delle labbra gentile.
E
lei sente il cuore battere veloce, veloce, veloce.
Fa
un respiro profondo e riesce a dire soltanto. «Piacere, signor Wolf.»
Non
può non notare che sulla sua mano sinistra, sotto la luce del lampadario
risalta un anello, un filo d’argento, all’anulare. È sposato, dunque? I
pensieri e le emozioni che ha finto di non aver avuto nei giorni passati creano
un vortice dentro di lei, ma che cosa cambia, comunque? Lei non è forse
promessa in moglie a qualcun altro … cosa le dice la testa?
Durante
la cena mangiano e chiacchierano come se si conoscessero da una vita, lei ha
paura persino che il capitano riesca a intuire quello che sta provando perché
continua a dire «Forse dovremmo imbarcarti con noi, Eddie, Miss Bridge non
rideva così e non la vedevo così serena da quando l’ho conosciuta ed aveva
dodici anni.» lei è imbarazzata, ma se guarda fisso gli occhi color cioccolato
di lui si sente quasi a casa, tepore. Ecco cosa c’è nel suo sguardo e una
sfrontatezza che lei trova fastidiosa quanto adorabile. E lui ascolta. La sua
abilità di ascoltarla la lascia stupefatta, non importa cosa dica, qualunque
argomento va bene, si rende conto che lui non sta solo sentendo le sue parole
come fa il vecchio capitano o come hanno fatto tanti dei suoi amici a Londra,
la ascolta sul serio.
A
fine cena, il capitano la riaccompagna alla locanda e si scusa perché i lavori
di manutenzione prenderanno almeno un’altra settimana.
Miss Bridge da sola nella sua stanza non sa come
fare. Deve calmarsi. Fermarsi. Tutte quelle emozioni son causa di problemi, senz’altro. E lei non può avere
altro per la testa che non sia il suo viaggio, il suo matrimonio con il
rampollo americano … Eddie Wolf, il signor Wolf … perché doveva essere sulla
mia strada? Si chiede, eppure non vorrebbe non averlo incontrato. Complica le
cose, ma si sente come rinata dalla stasi che provava, dal vuoto che aveva
aperto dentro se stessa. A tavola ha detto che è un bravo cuoco, sarebbe bello
mangiare qualcosa fatto da lui … sarebbe bello vederlo di nuovo, sarebbe stato
bello se il capitano se ne fosse andato a letto prima e li avesse lasciati da
soli. Smettila. Dice a se stessa, ma non riesce e non prende sonno.
Il giorno dopo, al porto, spera di vederlo. La
lezione d’inglese diventa sempre meno interessante, l’attenzione si sposta su
di lui, sulla
possibilità di incontrare il suo sguardo e sulla speranza di avere una scusa
per scambiare qualche parola … quando meno se lo aspetta eccolo lì, a pochi
metri. «Miss Bridge, qui il mio amico» il ragazzo pelato che per fortuna non si
è ancora marchiato a fuoco «Non sa bene l’inglese, vorrebbe seguire le sue
lezioni, può?» lei lo guarda e lui sorride, beffardo «Ma da solo non viene,
vuole che gli faccia compagnia.» Se Miss Bridge stesse ragionando direbbe che a
lui non servono le lezioni di inglese. Non ne ha bisogno, è madrelingua. Ma lei
non sta ragionando, non può che cogliere l’occasione. «Certo, per me non ci
sono problemi.» dice sorridendo, ma non troppo, tutti gli occhi degli altri
marinai son puntati su di lei.
Eddie
va a lezione, puntuale ogni giorno, per quattro volte di fila. E tutto il tempo
lei sente i suoi occhi puntati addosso. Durante gli esercizi e le spiegazioni
la fa ridere, racconta storielle, si siede accanto a lei e fa battute
sottovoce, con accento britannico strettissimo su tutti i partecipanti al
corso, non risparmia nessuno e lei cerca di continuare a darsi un tono, di non
scoppiare nelle risate fragorose che sente dentro di sé e si accorge che con
lui così vicino la maschera di imperturbabilità che si era messa si sta
riempiendo di crepe e inizia a sgretolarsi. Il suo sguardo la scioglie come se
la sua protezione fosse fatta di ghiaccio e lui fosse sole estivo bollente,
impietoso e irrompente.
Lui
è divertente, è spigliato, pieno di vita. Racconta di avere un cane che gli dà
preoccupazioni e puntualmente allaga la cabina della barca dove lo tiene chiuso
durante il giorno; miss Bridge odia i cani, ma sentire Mr. Wolf parlare del suo la
intenerisce a dismisura …
Esercizio
di grammatica. Mr. Wolf consegna il suo e sul foglio invece delle frasi c’è
scritto soltanto: Una birra? Sta sera?
Aspetto all’uscita sul retro della locanda.
Il
buonsenso vorrebbe che lei prendesse il foglio e lo strappasse chiedendogli,
gentilmente, di lasciare la lezione e di non permettersi più. Ma Miss Bridge,
consciamente o non, non aspettava altro che un’occasione per rimanere da sola
con lui. Non può far nulla. Quella sera il capitano ha organizzato una riunione
con tutto l’equipaggio per fare il punto sullo stato di avanzamento dei lavori
di manutenzione e sulla tabella di marcia per ripartire. Lei non può mancare
eppure avrebbe dato qualsiasi cosa per stare con lui qualche ora, da soli.
Nemmeno lei si spiegava come avesse potuto lasciare
che le emozioni che quel ragazzo con tutta la sua spontaneità le trasmetteva prendessero il sopravvento in
quel modo.
Ho una riunione con il capitano.
Spero di potermi liberare presto.
Scrive
al posto del voto. Mentre scrive si sente già in colpa. Cosa sta combinando?
Sta forse dimenticando perché è lì? Dove è diretta e cosa l’aspetta appena il
viaggio riprende? Cosa crede di fare? E poi lui non ha forse un anello al dito
che dichiara al mondo che il suo cuore è incatenato? Proprio mentre una
tempesta di dubbi la prende si ferma a pensare e si rende conto che, in
effetti, emozioni come quelle che prova quando Eddie le è accanto non sono poi
così scontate, così facili da provare. Non per lei. Non lo erano nemmeno quando
a Londra recitava. La maschera era sempre su, nessuno mai era riuscito a
bucarla con così poco tempo …
«A
domani Miss Bridge» dicono tutti quando vanno via, Eddie anche la saluta, come
tutti e poi, sfiorandole appena la mano sottovoce aggiunge: «Aspetterò.»
Il
capitano voleva che la riunione fosse alle nove, lei dice di aver mal di testa
e riesce a convincerlo a spostarla alle sette. È lì ad ascoltare eppure il
cuore continua a battere veloce, spera che l’aspetterà davvero, che quando
arriverà non sarà già troppo tardi e lui non se ne sarà già andato. Il capitano
dice che la nave sarà pronta l’indomani, che potranno salpare e saranno a New
York nel giro di un mese.
Il mondo si ferma. Frena bruscamente. Ultima notte
sull’isola. Si riparte. Si salpa. La realtà cruda torna a rompere quel breve e inteso sogno che Miss Bridge
stava vivendo. Vorrebbe quasi piangere. Ma ha deciso che non l’avrebbe più
fatto, e poi si ricorda che lui la sta aspettando e allora non le importa più
di nulla. Non proverà forse più emozioni così forti tutte insieme in un vortice
incredibile, in così poco tempo, quindi non può sottrarsi, farebbe un torto a
se stessa se non andasse.
Esce
quasi volando dalla locanda e lui fuori non c’è. Non è arrivato o forse già
andato via. Si siede sulla panca all’angolo e aspetta. Forse arriverà e se non
lo farà le dispiacerà non averlo potuto ringraziare per le emozioni che le ha
regalato. Perché l’ha fatta ridere di cuore, perché l’ha ascoltata con
interesse vero, perché si è divertita come non mai quando c’era lui alle
lezioni, perché ha una vitalità che non è facile incontrare. Quando sta per
rientrare, speranze già abbandonate, eccolo apparire trafelato, sorridente. Si
ferma davanti a lei e ride. «Cosa?» chiede lei «Ho sbagliato locanda! Ho
aspettato un’ora sotto il posto sbagliato …» lei inizia a ridere e non riesce a
fermarsi. Lui si siede accanto a lei e le spalle si toccano. Lei non riesce a
smettere di ridere, perché lui è incredibile, semplicemente. Lui la guarda e le
sfiora la guancia con la mano, come per darle un pizzicotto, come se fosse una
bambina. «Andiamo, birra!» dice lui e la trascina fino a una stradina in cui
lei non è mai stata. «Un posto tranquillo, non incontreremo il capitano o i
marinai qui.» dice lui per tranquillizzarla.
Si
siedono e le parole, gli argomenti, le esperienze si susseguono. Vite parallele
hanno vissuto. Lui era timido e taciturno e la musica l’aveva salvato e lei
aveva scelto il teatro. Lui era un appassionato della musica moderna, il rock,
il “rumore” e lei lo amava profondamente in segreto.
«Sei
stato nella Royal Navy?» chiede lei, curiosa perché il mondo dei marinai senza
radici e senza porto la appassiona da sempre e lui, gambe accavallate, busto
leggermente protratto verso di lei, inizia a raccontare. Dell’inizio, di un
viaggio della speranza su un treno sul quale era rimasto da solo fino
all’ultima stazione, di una notte passata fuori dalla caserma nuova in cui
doveva iniziare il servizio … ma narra degli scherzi e delle marachelle a
compagni di avventura e superiori e lei ride, ascolta, si sente leggera.
Vorrebbe che quelle ore non finissero mai.
«Domani, ho sentito, la nave salpa. È vero?» «Sì,
l’ho appena saputo. Questa è la mia ultima sera sull’isola, perciò la birra l’offro io.» lui non vuole
lasciarla offrire, ma alla fine cede solo a patto che il secondo giro lo paghi
lui. In realtà la serata scorre via in un baleno, tra esperienze di vita,
risate e qualche momento in cui le sembra di averlo così vicino che quasi ha paura
e della seconda birra non c’è nemmeno bisogno. «Mi chiedo perché abbia
aspettato fino a questa settimana per avere il coraggio di chiederti di uscire
con me» dice lui, con un velo di quasi tristezza nella voce.
«La vita va così alle volte, ma io sono contenta di
essere qui ora.» risponde lei e lo guarda fisso negli occhi. «Ti accompagno alla locanda, non voglio tu
faccia tardi per causa mia.» «Domani sarà l’ultima lezione d’inglese, partiamo
in serata, verrai?» «Son già lì.» risponde lui, intanto lei mangia una
caramella gigante che le deforma una guancia. Lui ride. «Ne vuoi una?» chiede
lei, quasi stizzita «No, ora no, ho il sapore della birra. Magari domani,
però.» Arrivano sotto la locanda. «Dovremmo salutarci ora, domani ci saranno
tutti al molo.» dice lui e l’istante dopo lei si ritrova tra le sue braccia.
Stretta. Il cuore batte forte. Vorrebbe che quell’abbraccio durasse di più. Ma
è confusa, si tira leggermente indietro e lui le bacia la guancia, le labbra
lasciano quasi uno stampo sulla pelle, simile a quello che sta lasciando lui
nella sua vita. «Ora vado, devo andare.» dice lei. E corre, su per le scale.
Arriva in camera e si butta sul letto. Non riesce a dormire. Non c’è verso. Ha
il cuore a mille. Rivive i minuti trascorsi da poco e si maledice. Perché non
l’ha baciato? Perché? Era così vicino, avrebbe potuto averlo un bacio vero
prima dell’indomani e della vita che l’aspetta. Un bacio, cosa c’è di male?
Niente più niente meno. Resta sveglia quasi fino al mattino dopo e spera che
lui non lo noterà, che non si accorgerà delle occhiaie … avrebbe voluto richiamarlo,
correre giù di nuovo e baciarlo e stringerlo ancora e ringraziarlo per quella
parentesi incredibile.
Ultimo giorno sull’isola, miss Bridge non aveva
idea appena arrivata che tanta tristezza le avrebbe provocato lasciare quel posto. Alla lezione d’inglese non
riesce a concentrarsi e lo cerca con lo sguardo. Lui è lì e ogni volta gli
occhi li alza, come se sentisse che lei vuole trovare quell’istante di
complicità. Lui inizia a tossire e lei non può far altro che dargli una
caramella e in cambio lui le dà un bigliettino. Lei non lo apre, non durante la
lezione. Ma quando torna alla locanda per finire di sistemare le sue cose non
può farne a meno.
Prima che vai devo vederti,
qualche minuto, da solo. Ti aspetto al faro vecchio, la porta è aperta alle tre
del pomeriggio.
Lei
sente il cuore in gola. Lo rilegge e sa che è tutto incredibilmente sciocco,
che non dovrebbe, che non è il caso, che non serve a nulla. Ma come può fare?
Non andare? Perdere l’occasione per passare qualche altro minuto con lui?
Vorrebbe illudersi che non le cambia nulla, che vederlo o no è indifferente, ma
il cuore martella e la mente è annebbiata. Chiude la porta della stanza e va.
La porta del faro è aperta. Lui non è ancora
arrivato. Lei si sente quindicenne, sente di esser tornata un’adolescente
cretina, ma quella
sensazione le dà i brividi … lui arriva, sorridente, ma un po’ meno sbruffone
del solito, le prende la mano e la trascina dentro con lui. «Dobbiamo entrare
qui è zona di passaggio!» dice mentre chiude la porta. «Allora, tutto pronto?»
«Sì, tutto a posto.» dice lei e intanto lo guarda e lo prega di darle una buona
ragione per non partire, ma sa già che lui non può farlo, come potrebbe? «Ci
salutiamo sul serio … » «A quanto pare…» «Buon viaggio allora …» e l’abbraccia,
ma sta volta lei si è preparata e lo stringe anche lei, forte, non vorrebbe
lasciarlo andare. Lo bacia in guancia con tutta la passione che è possibile
mettere in un bacio a stampo e spera che lui senta e sa che se lo baciasse
sulle labbra non troverebbe la forza di andarsene, ma che dovrebbe farlo
comunque e che sarebbe devastata perché anche solo immaginare il sapore di quel
bacio le dà i giramenti di testa. E poi quell’anello è fermo, sempre lì, sulla
sua mano sinistra … Esce per prima e corre verso la locanda.
Quando
è tutto pronto prende la strada per il porto. Cammina lenta e spera, anche se
non osa ammetterlo, che apparirà. Ma lui non c’è. Il suo amico pelato sì però.
Le si avvicina e la saluta, cordiale. «Faccia buon viaggio, signorina.» dice
nell’inglese traballante che ha imparato e le bacia la mano. Scambio, equo e
solidale.
Lei
lo apre e lo legge, prima di salire a bordo.
Mi sono sentito come un ragazzino
che aspetta un bacio.
Ecco
cosa ha scritto, mr. Wolf. E lei rilegge le sue parole, il cuore con il battito
ancora accelerato e vorrebbe correre indietro e darglielo quel dannato bacio e
dargliene altri dieci insieme e non partire e restare ma, niente di tutto ciò è
possibile. E poi lui ha l’anello al dito, forse i soldi che mette da parte per
far ripartire la sua nave servono per tornare dal suo amore. Forse.
Mr.
Wolf è rimasto da solo. S’appoggia contro il muro del vecchio faro e prova a
respirare. Guarda l’anello che porta all’anulare sinistro e gli sembra che
bruci, come se fosse fuoco vivo a contatto con la pelle. Una storia che
trascina da troppo. Un cappio al collo, non un anello al dito. Ci pensa su. Lei
sta andando via. E lui, dopo tutto il vortice di emozioni e sentimenti che ha
provato nelle ultime due settimane è di nuovo solo. Non ha potuto fare a meno
di essere attratto da lei, dal primo istante e poi parlandoci, passando del
tempo con lei cercando un espediente dietro l’altro per starle vicino
l’attrazione è cresciuta a dismisura.
La
porta del faro si apre. Non è lei. Sperava fosse tornata indietro, ma non l’ha
fatto. È il suo amico di sempre, «T’ho.» gli dice e gli mette in mano un
bigliettino, «Mi sa che è meglio che lo leggi subito.» e se ne va. Lo lascia di
nuovo solo.
Il tuo sorriso e il tuo sguardo
pieno di luce arrivano diretti al cuore di chi incrocia la tua strada, non
lasciare che le cose della vita li cambino mai, perché sono loro che hanno
aperto la porta del mio cuore. Grazie per essere entrato nel mio mondo. Alice
Bridge.
Lo legge una, due, tre volte. Cosa poteva
aspettarsi? Una dichiarazione d’amore classica da una persona come Alice? Che
gli chiedesse di
farla restare con lui? No, ovviamente. Ma tra le righe riusciva a leggere tutto
quello che gli era sufficiente.
Sufficiente
per prendere l’anello e toglierselo, per decidere che alle volte il destino non
ha i tempi giusti, ma che essi si possono aggiustare, che è lui artefice del
suo destino.
Fuck the world.
Miss Alice Bridge era salita sulla nave, i suoi tre
bauli, con tutta la vita dentro, erano già stati caricati e mancavano ormai una decina di minuti perché la
nave si rimettesse in moto. Lei continuava a scrutare l’orizzonte, il molo
quasi deserto sotto il sole cocente del pomeriggio. Guarda e guarda ancora,
cosa s’aspetta? Nulla in realtà. Ma quelle poche righe che gli ha lasciato
erano dovute, erano il minimo che potesse fare, che potesse dire. Sapeva che
non l’avrebbe mai rivisto, ma quello non era importante. Era invece
fondamentale che lui sapesse come l’aveva fatta sentire.
«Miss
Bridge, stiamo per salpare, non vuole entrare in cabina?» le chiede un
marinaio, uno dei suoi studenti, sapendo che dopo ogni tappa lei si ritirava in
cabina, perché la partenza della nave col suo moto ondulatorio la disturbava.
«Resto ancora qualche istante, grazie.»
Sono
gli istanti a formare l’eternità. E basta un istante a cambiare tutto. Come
l’istante in cui Eddie Wolf è arrivato correndo sul pontile e Alice Bridge non
ci ha pensato neanche due volte a tuffarsi dal ponte della nave e a tornare a
riva.
Uno
davanti all’altra e sta volta quel bacio così desiderato nessuno può impedirlo,
la voce del capitano che la chiama dalla nave è un eco lontano e confuso. Lei
lo guarda e si perde, lui non riesce più ad aspettare. La bacia. Finalmente.
Con passione, le lingue si toccano, giocano, si sfiorano le labbra e da ogni
terminazione nervosa partono brividi, saette. Un bacio interminabile. Un
istante, da eternità. E lì restano, la signorina Bridge e il signor Wolf, sull’isola
di Headsea senza un soldo, senza nulla che possa garantire loro un futuro, ma
con il cuore gonfio di emozioni e di una gioia che non credevano avrebbero mai
più provato nelle loro vite, ma va bene così perché alla fine dei conti, oltre
a questo nothing else matters.