martedì 30 ottobre 2012

Il Settimo Personaggio, il Disegnatore

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Il settimo personaggio è un disegnatore e non immagina nemmeno che mentre io sto diventando un abitante del suo libro degli schizzi lui sta diventando il mio settimo personaggio. Sono le stranezze della vita.

Davvero non lo avrei mai notato, un ragazzo del tutto normale, niente di speciale nel suo aspetto, non mi sarei accorta di lui se non mi fossi sentita osservata. Osservata in modo strano e singolare, con una sorta di interesse scientifico. Ho alzato gli occhi dalle pagine piene di caratteri cinesi del mio libro e ho capito.

Il disegnatore ha un quaderno in mano con i fogli bianchi e una matita di quelle che usava Gabriele per creare i suoi capolavori durante le noiose ore di filosofia del linguaggio. 

La cosa veramente degna di nota del disegnatore è la sua aria, di mistero e di singolarità, quasi di sospetto, deve esser stata quest’aria ad avermi attirato, la stessa che ho io quando scrivo di qualcuno e lo guardo di sfuggita alzando velocemente gli occhi dal foglio. 

E così mentre scrivo del disegnatore sul suo foglio stanno prendendo vita i miei capelli ricci disordinati e forse persino l’agendina. 

È così singolare questo incrociarsi di sguardi, lui non può sapere che è diventato il settimo personaggio, ma a me piacerebbe vedere quello che è comparso nel frattempo sul suo foglio!


 

Il Sesto Personaggio è il Bianconiglio

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Forse sono io che sono influenzata da Alice, ma sta mattina ho incontrato il Bianconiglio.

Aspettavo il 92, dopo un’avaria del treno, quando l’ho incontrato. 

Un omino, un ometto avvolto in un cappotto grigio che copriva un completo grigio chiaro e una terribile cravatta a fiorellini minuscoli, stringeva una valigetta ventiquattrore e fremeva.

Da  bravo Bianconiglio, d’un tratto, ha tirato fuori un orologio da tasca, tondo, fuori moda, ma che gli conferiva uno strano fascino.

Il Bianconiglio aveva due grandi occhi blu, un po’ in fuori e si guardava intorno sospettoso, palesemente in preda al panico. 

Temo che il Bianconiglio voglia condividere con me le sue sventure e mentre alzo i volume della musica stando attenta a evitare qualunque contatto visivo lo sento bofonchiare sottovoce: “è tardi, è tardi! Sono in ritardo, com’è tardi!
 

Il Quarto Personaggio: Il ragazzo in nero

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Non è bello, neanche eccessivamente brutto. 

È, insomma, una di quelle persone del tutto insignificanti, anonime, che non attirano in nessun modo l’attenzione … eppure si è trasformato, suo malgrado, nel quarto personaggio.

È stata, probabilmente, la sua aria sognante a farmi accorgere di lui in un primo momento.

Il 30 stava ripartendo dall’ennesimo semaforo rosso, sta volta era quello di Piazza della Bocca della Verità dove decine di turisti, approfittando delle giornate di primavera che questo ottobre ci sta regalando, si ammassavano per andare a provare se davvero quella bocca di pietra può mangiare una mano… avevo appena distolto lo sguardo da due turiste giapponesi che camminavano a fatica con i loro tacchi a spillo sui sampietrini di Roma antica, quando mi sono accorta del quarto personaggio che ho deciso di chiamare il ragazzo in nero. Il perché è facilmente intuibile, il quarto personaggio era completamente vestito di nero, aveva la borsa porta computer nera, ma soprattutto nera era l’agendina che teneva in mano.

L’agendina è stato l’elemento determinante. 

Identica alla mia e a quella di altre migliaia di persone che la comprano per sentirsi un po’ artisti o solo perché le righe sono larghe e comode, la carta è buona ed il formato ottimo per portarla sempre con sé, o magari perché li intriga l’idea che anche Hemingway avesse un taccuino simile … insomma il ragazzo in nero tiene in mano un’agendina di pelle nera Moleskine. La guarda e la riguarda, accarezza la copertina chiusa come se fosse un tesoro prezioso e solo dopo aver dato un’occhiata furtiva tutto intorno si decide ad aprirla e ad iniziare a leggere. Legge come se fosse un libro, come se ci entrasse in quelle pagine, le guance gli si colorano di rosso acceso e dietro i suoi piccoli occhiali da vista tondi sembra che i suoi occhi neri si stiano riempiendo di lacrime …

Forse quella agendina è la storia della sua vita. 

Forse, invece, questa mattina quando è uscito di casa ed ha controllato la cassetta della posta, esattamente come fa ogni giorno, ci ha trovato dentro l’agendina, chiusa in una busta da lettera gialla. Forse, non ha idea di chi abbia scritto quelle pagine che chiaramente parlano di lui e sembrano essere piene di sentimento, forse di amore. 

Forse il ragazzo in nero ha un’ammiratrice segreta che si è innamorata della sua aria sognante e con la pazienza che hanno solo gli amanti non corrisposti, ha affidato a quel taccuino i suoi pensieri, ha raccontato tutte le emozioni che il ragazzo in nero, senza sospettarlo minimamente, suscita in lei ogni giorno quando la incrocia per le scale del palazzo o quando le dice “buongiorno” sottovoce, in ascensore… mentre va avanti con la lettura, il ragazzo in nero è preso da una strana frenesia, sfoglia le pagine con foga come se volesse succhiarne tutto il contenuto il più velocemente possibile, poi, a tratti, la sua espressione si fa dolcissima, alza gli occhi per controllare che nessuno si stia accorgendo delle sue emozioni e torna a leggere, a sognare la persona che può aver scritto quelle parole, che lo ha amato nell’ombra e pensa che forse, aprendo l’ultima pagina dell’agendina, troverà un nome da dare alla persona che gli ha toccato il cuore e ha colto la sua essenza senza nemmeno conoscerlo.

Con sua enorme delusione, però, nell’ultima pagina c’è scritto soltanto: 

La ragazza in bianco.”

E non immagina nemmeno, il ragazzo in nero, che qualche sedile più indietro, proprio in quello parallelo al mio, c’è una ragazza col viso magro, con una manciata di lentiggini sulle guance e lunghi capelli castani che lo guarda e sorride tra sé, sperando con tutto il cuore che, un giorno o l’altro, il ragazzo in nero possa capire che quella è la sua agenda.
 

Alberto ed Eleonora, frammento I

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«Boh, non avrei mai detto, ma forse son cose che davvero possono succedere.»

Ecco cosa aveva detto Tony, il suo migliore amico, ad Alberto quando gli aveva raccontato tutto. S’era sentito alleggerito, sebbene dirlo ad alta voce lo asse reso un po’ inquieto, come se parlarne rendesse il tutto più reale. Aveva provato a convincersi e a convincere lei che si trattava di un sogno e aveva persino sperato di aver immaginato tutto, di aver pensato lui che ci potesse essere un interesse da parte di lei; persino, aveva creduto che lei si fosse scansata di proposito per non farsi baciare quando lui aveva provato, un tentativo incerto, poco convinto quasi impaurito. Ma non era andata così, lei non s’era nemmeno resa conto. E lui aveva perso un’occasione d’oro, ce l’aveva avuta lì, tra le braccia, e ora era a cinquecento chilometri di distanza e non sapeva quando l’avrebbe rivista. Alle volte si chiedeva persino se l’avrebbe mai rivista.

«Però questo non toglie che sia una cazzata, Albè.»

Aveva continuato Tony, per rincarare la dose. Lo sapeva bene, Alberto, che era una cazzata, eppure non riusciva a non seguire il suo istinto, le sue emozioni. Irrazionale, sì certo, come un ragazzino a trent’anni e un po’ ma come fare? Smettere? Non sentirla più? Beh sì, la ragione quello diceva, ma lui non aveva gran voglia di ascoltarla. Perché si sentiva bene e lei diceva che era lo stesso.

«Vabbè, ma non è che devi credere per forza a tutto quello che dice lei, eh. Alla fine questa potrebbe essere una che si diverte così, che ne sai!»

Tony non capiva. Come faceva a capire? Non era mica dentro di lui, non la sentiva mica quella carica energetica che gli circolava per le vene, quell’entusiasmo che lo riempiva da quando l’aveva conosciuta! Si sentiva rinato, Alberto. Era stata una scintilla, un fulmine a ciel sereno, se l’era ritrovata lì, sul lavoro e non era riuscito a fare a meno di andarla a conoscere, di fare amicizia. E poi, s’era accorto che non era solo bella, ma che le loro vite erano passate in parallelo, che s’erano forse incontrati troppo tardi; che parlarci era così naturale da far paura, così spontaneo da meravigliarsi che stesse discutendo con qualcuno che conosceva solo da pochi giorni.

Eleonora. Il suo fulmine a ciel sereno. Il suo elettrochoc dal coma.

Non sapeva nemmeno lui come fosse accaduto, quando fosse successo. Da amore a convivenza, un passo sottile e poi anche un cane, perché no? È tenero. Tutto questo in un paio d’anni e poco più, una serie di eventi che s’era susseguita in modo quasi inconsapevole, come se le cose dovessero andare in quel modo e non ce ne fossero altri possibili. Non si era fatto tante domande. Alberto aveva messo la testa a posto. Finita la carriera militare, mollata la musica e i divertimenti adolescenziali e tagliato i capelli da rockstar, aveva comprato una casa e faceva un lavoro con uno stipendio dignitoso, ma che non era il massimo, non gli dava stimoli, il suo cervello, acuto, lavorava al minimo. E ora la sua compagna era lì, conviveva con lui, una brava ragazza, nulla da dire. E aspettava le risposte delle analisi per dirgli se stesse per diventare padre o no. Non era certo un buon momento per … per avere la testa altrove, per pensare a Eleonora, al suo ingresso nella sua vita che lo aveva preso impreparato.
S’era illuso che lei non contraccambiasse, che i brividi sentiti lavorando fianco a fianco a lei, che le risate, che i piccoli istanti in cui i loro corpi s’erano sfiorati per caso fossero davvero casuali; che esser stati seduti uno a fianco all’altra a cena di lavoro era stata un’occorrenza fortuita. S’era illuso. Perché quando le aveva detto che nel loro appuntamento segreto per un saluto avrebbe voluto un bacio, lei aveva risposto “idem”. E quello era stato sufficiente per dargli conferma, per dirgli che certe emozioni non possono essere unilaterali.
E ora non riusciva a non pensarla, sapeva che era sbagliato, che non doveva farlo mentre era con la sua compagna, che non doveva scriverle, che non doveva … eppure cercava di rubare pochi minuti, pochi istanti per scrivere due righe.

«Ma fammi capire, te la vuoi portare a letto, ma quante ne trovi? Che ti frega! Sta pure a cinquecento chilometri di distanza, e su Albè!»

Aveva detto Tony, ma se così fosse stato sarebbe stato tutto più semplice. Se lui avesse voluto davvero un’avventura così, tanto per divertirsi prima di prepararsi a diventare padre, non avrebbe certo scelto una persona che viveva al nord del Paese, no se la sarebbe trovata a Roma. Dietro l’angolo. E non l’avrebbe pensata tutto quel tempo, non avrebbe voluto sentirla, parlarle, chiamarla per il solo gusto di sentire la sua voce aldilà della cornetta e non avrebbe nemmeno rischiato a mandare mail di soppiatto mentre era con la sua donna.
Ma che diamine gli stava succedendo? Alla vigilia dei risultati delle analisi del sangue della sua compagna, non aveva idea di cosa stesse passando per la sua testa, ma sapeva che era qualcosa d’incontrollabile. Qualcosa che per il momento poteva solo vivere. Voleva solo vivere.