venerdì 19 aprile 2013

Attenti al Drago Volante --Parte III

Creative Commons License
Questo/a opera è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

Torna in ufficio e cerca di lavorare, di tradurre, per quanto possibile.

Erano mesi, forse anni, che il pensiero di un uomo, che nemmeno conosce, non si insinuava così nella sua fantasia. Aveva avuto avventurette, qualche incontro più o meno interessante, ma ogni singola volta era finita per essere disillusa, per ritrovarsi segregata al ruolo di bambola, di soprammobile. Alcune volte avrebbe voluto tagliare tutti i capelli, avrebbe voluto avere lineamenti meno belli, avrebbe voluto che le curve si appiattissero e che gli uomini non fossero attratti da lei. La speranza più intima di ogni donna cervello-munita, non è forse quella che un giorno, prima o poi, possa incontrare qualcuno capace di vedere oltre? Qualcuno che sia in grado di vedere anche quello che c'è dentro e non solo la bella scatola in cui è avvolto? Michela era romantica. Cercava di non esserlo, non voleva esserlo. Aveva assottigliato quella parte di se stessa per farsi meno male e desiderava profondamente che sparisse del tutto, ma era così legata al suo animo che non c'era modo di liberarsene del tutto, poteva metterla a tacere... ma prima o poi tornava e lei lo sapeva.

Drin. Hai un messaggio di posta non letto.

Il cuore accellera e Michela fissa lo schermo. Ha risposto? Sarà lui? Apre la posta elettronica.
Davvero è lui.

"Io sono a Termini oggi, alle 16.00 al tavolo dell'altra volta, spero di vederti.
Drago volante."

Michela riflette. Consegna le poche pagine che ha tradotto ed esce da lavoro.

La scelta è semplice: andare a piedi in stazione e tornarsene a casa o svoltare per Ponte Lungo?


MetroA, fino a Termini.

Appenascesa, prima di prendere la scala mobile, si ferma un attimo. 

È davvero folle. 

Di certo, non è lui. 

Arrivo lì, vedo che non è il ragazzo che mi ha sbeffeggiata per la salsa sul labbro e torno indietro.  Una specie di prova con se stessa vuole fare Michela, in fondo, passare per il Mac Donald's di Termini alle quattro del pomeriggio non è poi così pericoloso né tanto meno, inusuale. Passo davanti ai tavoli, do una sbirciata e me ne vado. Non c'è niente male. Continua a ripetersi per convincere se stessa.

 Prendecoraggio e sale. 
Il sottopassaggio oggi sembra interminabile. 
In lontananza il simbologiallo del Mac Donald’s brilla. 
Forza, ormai sei qui vai almeno a vedere, sidice, perché la sua razionalità continua a suggerire di andar via. 

Il tavolo acui si era seduta quel giorno è proprio lì, a qualche metro da lei, ma è vuoto. 
Desolatamente vuoto. 
Sente già la delusione salire su per il petto, fino astringerle la gola, sa che non c’è motivo per essere delusa, eppure … 

Il cuoreaumenta il battito. 

Indossa la giacca di pelle, il bavero alzato, i capelliramati spettinati, un po' lunghi, quasi a fungo. 

È di spalle, ma qualcosa sembra dire a Michela che è lui. Lui le passa accanto senza notarla e va diretto, passo sicuro, verso quel tavolo. 

Si siede conle gambe allungate ed incrocia i piedi, appoggia il volto, dai lineamentidelicati, alla mano destra e muove le labbra impercettibilmente, forsecanticchia. 

Lei lo guarda, nascosta dalla folla di viaggiatori e spera che luinon alzi lo sguardo, che non la veda, perché non ha ancora deciso cosa fare. Sabene che la cosa più saggia sarebbe girare i tacchi, ma quel ragazzo haqualcosa che l’attira come una calamita…
Colpita. 
Affondata. 
I suoi occhi marroni, stretti, affusolati, brillano. L’ha vista. 
Ètroppo tardi ormai per tornare indietro, le sue labbra leggermente carnose, sidistendono in un accenno di sorriso ed appaiono ai lati della bocca duefossette. Le sta sorridendo. Quel sorriso ha qualcosa di disarmante in sé.Qualcosa, che , chissà come, sembra superare la sua barriera difensiva. Forse quel messaggio era davvero per lei. Così si direbbe dall'espressione di quel ragazzo che sembra averla riconosciuta, che la guarda come una vecchia amica non vista da tempo o come un sogno materializzatosi.

Le possibilità di fuga diminuiscono, ormai è in ballo. Non può restare lì ferma immobile contro una colonna e continuare a osservarlo, tanto vale avvicinarsi e vedere che effetto fa...

Avanza,col cuore che batte forte e la gola arsa. Si sente come una stupida ragazzinadi quindici anni, ma ne ha ben venticinque e di cose nella vita ne ha già visteabbastanza. 
Ora è in piedi davanti a lui, che si alza di scatto e la fissa,occhi negli occhi. 
"Non ci credevo, ero certo che non saresti venuta!" dice lui.La sua voce è bassa, ma gentile e forte, allo stesso tempo. 
"Invece sono qui"per fortuna il suo scudo gelido è almeno apparentemente salvo. "Michela, è questoil tuo nome?" chiede lui, tornando a sedersi. 
"Sì. E tu ti chiami davvero Drago Volante o è un soprannome?" lui la guarda e sorride tra sé.

Michela si siede, si sente, stranamente, a suo agio di fronte a quel perfetto sconosciuto dai tratti marcatamente orientali.

"Drago Volante è la traduzione del mio nomecinese, quello italiano è Federico."

Che stupida! Come ha fatto a non fare un collegamento così semplice? La parte spiccatamente sinologica di Michela la vorrebbe prendere a schiaffi! La sua email non era forse feilong@live.it? Come ha potuto non pensare che fosse cinese per davvero e poi... Drago, certo, Long e Fei, volare... Un Drago Volante, Fei Long.
Cinese? È cinese!  Michela non ci crede ancora. Deve controllarsi e mantenere la calma. Il tempo in cui faceva amicizia con le persone solo perchè erano cinesi è concluso da tempo, ora sa scegliere e discernere persona e persona e in questo caso quello sguardo dolce e l'aspetto da idol di una delle sue serie tv taiwanesi non deve portarla fuori strada. Calma e sangue freddo, si ripete.

Rimane in silenzio. 

"Per te è un problema cheio sia cinese? Vivo in Italia da tempo ormai…mi sono integrato, ho studiato italiano e mi sono laureato qui..." 

Ma che fa, si giustifica? 

Non c’èniente da fare, la sinologa ha il sopravvento. 

"No, no, no, non lo è di certo,anzi.. Io parlo cinese." Lui si illumina, si siede dritto, si sporge sul tavoloe la osserva con fare sospetto. 
"Zhen de ma? Davvero?" chiede e la sua voce cambia, inevitabilmente, prende sicurezza nella sua lingua madre, è come se divenisse persino più profonda.  E lei risponde disì, sente le parole quasi bloccarsi all'altezza della gola... 

Sorride, continua a sorridere e Michela viene contagiata. 

"Sono felice, chebello." dice lui e lo fa in modo così convinto che Michela non riesce a trattenere una risata. 

Ormai parlano nella sua lingua e la sua voce diventa anche piùbella, meno controllata è come se scorresse libera, come un torrente dimontagna.

Parlanodi molte cose. 

Michela dimentica che dovrebbe tornare a tradurre quel pessimoromanzo inglese, perché lui conosce la letteratura cinese contemporanea molto bene, perché è un letterato esi indigna quando lei racconta la sua ultima delusione con una traduzione... 

Le viene facile parlare con luinonostante in cinese delle volte sia titubante, se non le viene una parola la dice in italiano e lui latraduce ... Ma da dove è venuto? Da Taipei, risponde lui. 

Anche se Michela non era la città che voleva sapere, sorride. E il cuore sta volta non riesce a smettere di accellerare. Taiwanese. Di Taipei. La sua città, la città dove ha vissuto e lasciato un pezzo di cuore.

"Sei di Taipei? Ni shi Taibei ren ma?" Lo chiede in due lingue, tanto per essere sicura.

"Sì, i miei genitori sono del Fujian, ma io sono nato e cresciuto a Taiwan." Michela è quasi indignata, aveva detto di essere cinese, quanto deve essergli costato dirlo, quanto deve costargli ogni volta dire a tutti che è cinese, quando in verità, Michela lo sa bene, i taiwanesi hanno un orgoglio patriottico fortissimo...

"Io ho vissuto a Taipei per un po'" dice Michela e sa che così lo conquista. 

Lui la guarda, estasiato.



mercoledì 17 aprile 2013

Astratti Furori, mai così reali. Omaggio al Maestro.

Creative Commons License
Questo/a opera è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

Giunto a me in una busta gialla, la sua bella grafia è rimasta intatta, le lettere sono scritte chiare, con inchiostro di china nero.
Come quello usato nella dedica, semplice, concisa, che tutto dice e niente nasconde.
Me lo ha mandato lui di persona e ora è qui tra le mie mani. 

Oh se le misure dei libri, oh se il numero delle pagine rispecchiasse i loro contenuti, questo libretto, che tengo quasi dentro una mano, dovrebbe esser un tomo grande come la Divina Commedia. Ma non lo è. 

Piccino. Copertina nera e bianca, come al solito, e già sento echi che ricordano di una Notte Giovane farsi vivi nella mia memoria. 

Penso che dovrei leggerlo immediatamente, ma la vita mi trascina via e lo poggio sulla libreria, accanto alle altre due opere del Maestro, poco sotto a dove è appeso il Futurdrago che mi ha donato, ormai tanto tempo fa.

Una telefonata, in mattinata. In primo mattimo. 

Si stupisce, il Maestro, che lo riconosca al telefono.

Vero è che ho memorizzato il suo numero, ma altrettanto vero è che il suo accento siciliano, la sua voce profonda e cullante la riconoscerei comunque tra mille, anche aldilà del capo di un cellulare, senza capi né fili. 

Mi invita alla presentazione. E così lascio da parte manuale di medicina cinese (me lo porto dietro per coscienziosità, ma non lo apro nemmeno) e oggi mi dedico solo a te, Maestro caro. 

Le aspettative non possono essere deluse.

Ne ero certa all'inizio e lo sono ancor di più, man mano che le pagine scivolano via sotto le mie dita, mi fermo, a momenti, perchè mi dico che dovrei assaporarle meglio, ma poi mi tranquillizzo pensando che non è che la prima delle letture, che ne seguiranno almeno altre due... così scorrono via, lasciando solchi nell'animo, racconti, poesie, dialoghi e aforismi che somigliano ad haiku, alle volte.

Lo riconosci il Maestro, seduto a un bar d'Alcamo in Sicilia e riconosci la sua voglia continua di tornare dalla Sicilia alla Sabina e viceversa, i suoi astratti furori prendono talmente forma nelle pagine che ti pare di poterli toccare, se sapessi dipingere, li dipingeresti. Ma tu non sei mica il Maestro! Lui dipinge, lui fa diventare il colore cosa viva, lo trasforma, ci gioca, lo fa danzare sulla tela, tu tieniti, al massimo, un po' d'immaginazione. 

Ti fermi e ti chiedi come faccia. In qualche modo riesce a intrapporlare la vita intera dentro le sue parole, senti le lacrime che scorrono sul volto, perchè alcune delle poesie ti commuovono, ti lasciano senza fiato. 

Mentre le leggi senti già che ti stanno scavando dentro. Non sai come sia possibile, alcune le vuoi rileggere tre o quattro volte, per ricordarle meglio.

Le foto, le immagini in bianco e nero che accompagnano le poesie e gli aforismi sono belle quanto le parole di cui sono cornice... Ti chiedi come puoi rimanere stupita a ogni voltar di pagina? Come fa il Maestro, che pur conosci bene, a sorprenderti in tal modo? Oh se solo ci fossero più uomini come lui capaci di sconquassarti l'animo solo con le parole! Che mondo migliore sarebbe.

Incontro Mattia. Vecchio amico mi pare tu sia. Da quanto tempo, Mattia! T'avevo lasciato da Lighea, ma non c'è da temere perchè c'è anche lei, anche sta volta, la sirena non manca a un appuntamento col Maestro, non sia mai.

E i ricci di mare. I ricci di mare. Ti commuovi leggendo dei ricci di mare e ti ricordi di quella sera.
Il caldo era così torrido a cena, a casa di David. E il Maestro aveva raccontato dei ricci di mare e Caterina, dolce come sempre, aveva tentato di fermarlo, di evitare, ma lui era impassibile e voleva narrare... Mentre leggo dei ricci di mare mi pare di sentire la sua voce, che risuona nella testa. 

E quelle parole scritte in maiuscolo dentro una poesia, sono urla. O forse no, forse sta volta non voleva che qualcuno stentasse su dove andasse l'enfasi e l'ha evidenziata, chiara e tonda, la parola chiave di ogni componimento. Quasi a dire: "è qui che l'intonazione fa un picco" e ti pare di sentirla, mentre leggi con gli occhi e il trenino corre verso Roma.

Oggi il viaggio sembra leggero, scorrono le stazioni e tu non te ne accorgi, io non me ne accorgo, perchè son lontana, son salita sulla nave con Mattia e ho incontrato una donna incantatrice su una spiaggia e mi sono meravigliata di ritrovarmi così tanto nelle sue speranze "che ogni volta riponeva in ogni nuovo amore, nella convinzione, ogni volta, di aver incontrato chi fosse capace di leggere oltre la sua evidente bellezza e penetrare nella sua anima assetata di vivere." 

E poi la storia del marinaio. Un mondo perfetto. Ricordo nitidamente quel pomeriggio in cui quell'idea balenò nella mente del Maestro e ce la raccontò e ora eccola lì, su carta, e quanto spero che l'invito venga colto che i mondi si moltiplichino e desidero tanto, magari, crearne uno tutto mio, forse è la volta buona che ci riesco...

La cosa più difficile che resta da fare ora è scegliere cosa leggere domenica. So già che il Maestro mi chiederà di leggere qualcosa e io ne sarò onorata, ma come si può riuscire a scegliere? Ancora una volta ci sono passi che mi lasciano senza fiato e che mi commuovono al punto che leggendoli a voce alta potrei non arrivare alla fine o potrebbe succedermi ciò che mi accadeva con "Il Male è nei Fiori", sentire un brivido lungo la schiena, tutte, ogni singola volta, e cercare di mascherare l'emozione trasformandola in recitazione.

Arrivo alla fine e riparto dall'inizio.

Sono pagine leggere e intese al tempo stesso, lo spazio bianco intorno alle parole sembra dire persino di più di quanto non facciano loro stesse.

Amore, vita, momenti, ricordi, viaggi e soprattutto arte, il pane, anzi, il pangrattatao siciliano, della vita del Maestro. 

Ogni cosa, personaggio, che speravo di ricontrare era lì ad aspettarmi, a braccia aperte.

Il genio artistico del Maestro, intatto, lo ritrovo tra le pagine. 

La sua voce sembra leggerle per me.

Eppure, c'è così tanto di nuovo che resto stupita e sbalordita, come di fronte alle macchie di colore acceso dei suoi quadri. 

Guardo il mio parziale dell'Omaggio a Paolo Uccello e lo confronto al bianco e al nero del libricino che ho sul grembo. 

Bianco e nero. 

Colori vivaci. 

Tutto nell'animo di una persona sola, si mescola e crea, dà vita a pagine memorabili e a quadri vividi che spiazzano e sgomentano. 

Tutto nell'animo di un grande artista, nell'animo di un grande per cui ogni definizione è stretta, Il Terzofuturista, ma soprattutto il mio caro amico, Baldo Savonari.

Ancora una volta, grazie per tutto questo vortice di emozioni che ha riempito la mia giornata oggi, come lo ha fatto la tua telefonata ieri.

Provo a regalarvene una, delle meraviglie del libro:

"Tu, nella notte mia più scura, forsti chiaror di luna."

(l'unico modo che ho per farlo è aprire il libro a caso, non vi riuscirei, altrimenti.)

E qui, poteve sbirciare i quadri del Maestro: www.baldosavonari.it

martedì 2 aprile 2013

Attenti al drago volante ------Parte II

Creative Commons License
Questo/a opera è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.



Il 20 novembre. All’ora di pranzo. Dov’ero?!

Mentre la campagna sabina scorre veloce fuori dal finestrino, ancora protetta da una coperta sottile di rugiada ghiacciata, cerca di tornare indietro con la memoria a quel giorno, al 20 novembre, così, just in case.

Il 20 novembre.

Era in ritardo, aveva paura di perdere il treno, quello che doveva portarla a Fiumicino per salire sull’aereo, per fuggire dalla routine quotidiana solo per quattro giorni. Doveva salire su quell’aereo che l’avrebbe portata nella città che più amava, Londra.

Avrebbe spento il cellulare una volta arrivata e aveva già lasciato il computer a casa, stava per godersi 4 giorni di vacanza con il suo caro amico Matteo, che ormai viveva a Londra da tre anni.

Ogni volta che qualcosa nella sua vita andava storto, ogni volta che era triste o delusa o ferita, correva da lui.

Già lo vedeva ad aspettarla a Heathrow, tutto sorridente, tirato a lucido, con la barba appena fatta per non sentire i suoi rimproveri, dal cappotto di panno troppo leggero sarebbe spuntato il colletto stropicciato della sua camicia preferita, quella azzurro cielo. Sarebbe stato bello e impossibile, come sempre.

Per non rischiare di arrivare tardi alla stazione (era un grosso problema per lei quello di avere l’ossessione della puntualità) era uscita di casa senza pranzare, ma una volta a Termini, col treno in ritardo, aveva deciso di concedersi un menù al Mac Donald’s. Non era una cosa che faceva spesso, mangiare il cibo ipercalorico del colosso americano, ma qualche volta le faceva bene. Era come se avesse un forte desiderio di grassi e fritto. "Mac Donald’s Theraphy" la chiamava la sua amica francese e Michela era d’accordo sui poteri terapeutici del cibo macdonaldiano in momenti di stress o di tristezza.

Il suo treno, non quello per l’aeroporto, ma il regionale che prende ogni mattina, nel frattempo, è arrivato alla stazione Tuscolana e lei deve scendere, o meglio, tentare di scendere, vista la folla di persone che la separa dalla porta. Si fa coraggio, stringe la borsa e spera che la spunterà anche sta volta.

È in ufficio, alla scrivania. Guarda lo schermo del computer, le righe sul foglio elettronico non aumentano. La traduzione proprio non la prende, nemmeno un po’. Legge e rilegge lo stesso paragrafo tante volte, ma sembra come avere la testa vuota. Non riesce a togliersi dalla testa quel messaggio sul giornale e non riesce, per quanto le sembri assurdo, a non chiedersi se potesse davvero essere rivolto a lei. Mentre ci ripensa per l’ennesima volta, eccolo, come in un lampo.

Un particolare.

Il sorriso di quel ragazzo. Di quello che era seduto al tavolo accanto al suo, l’aveva guardata dritto negli occhi, con fare strafottente e abbozzando un sorriso beffardo le aveva indicato che aveva della salsa sul labbro. Maledetto Mac Chicken! Lei, ne era sicura ormai, si era pulita la bocca con il dito tatuato! Allora poteva forse essere che … quel ragazzo poteva essere lui l’autore di quel messaggio? 

Sente il dubbio iniziare a farsi strada nella sua testa.

Che fare?

Cerca di ricordarsi quel ragazzo, ma non ha trattenuto i particolari, non erano rilevanti. Si ricorda solo il fastidio che aveva provato quando lui le aveva fatto notare che aveva il labbro sporco. Dannazione! Perché non riesce a concentrarsi su quel maledetto manuale medico che deve essere tradotto a tutti i costi entro fine mese?

«Tu dovresti smetterla, signorina razionalità, di non ascoltare mai il tuo istinto. Dovresti buttarti, la vita è una. Te lo dico sempre.» Le parole di Matteo sono un problema. Seguire l’istinto. È davvero di questo che ha bisogno? Non ne ha idea.
Sa solo che chissà come, si ritrova con una pagina web aperta e clicca su: scrivi nuova mail.

“Ciao,
sicuramente no, ma c’è un 1% di possibilità che io sia la persona che descrivi nel messaggio su Leggo. Non riporci troppe speranze, perché è davvero una possibilità remota.

Michela.”

Il puntatore è fisso sul pulsante rosso Invia. Michela non ha il coraggio di premerlo. Resta lì a fissare lo schermo e si chiede se non sia un errore, una sciocchezza, qualcosa che potrebbe tranquillamente evitare.

«Michela, a che punto sei?» la voce del suo capo la fa trasalire, al punto che schiaccia inavvertitamente il tasto sinistro e la mail è andata, inviata.

«A buon punto, a buon punto.» Cerca di mentire, ma sa che lui la conosce bene.

«Che c’è? È tosta? Non avevi detto che era una sciocchezza?»

«No, no, Alex, è solo che oggi non riesco a lavorare. Ho mal di testa.»

«Fa una cosa stella, esci e prenditi un po’ d’aria e un caffè, magari ti fa tornare con la testa sul lavoro, sei ancora in ferie tu, te lo dico io!»

Michela esce e fa il giro dell’isolato. L’aria è fredda, ma a Roma non piove, il cielo è grigio e cupo, ma la città è bella lo stesso. Chissà se quel ragazzo del messaggio ha visto la sua mail, chissà se ha risposto e se ha risposto cosa ha scritto? E se le chiede di vederla? Come fa? Che fa, va ad un incontro al buio? Ma che diamine sta facendo!
 

lunedì 1 aprile 2013

Attenti al Drago Volante ------ Parte I

Creative Commons License
Questo/a opera è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.



Di lunedì mattina, come si fa ad essere di buonumore?  

Il weekend è appena finito e la settimana, con tutto il suo carico di stress e di vita, sta appena iniziando, nessuno si alza dal letto felice di lunedì e non vien di certo da sorridere se aprendo la finestra ci si trova davanti un cielo plumbeo e tanto vento caldo che sembra presagire uno di quei tifoni tropicali … Ma non dovrebbe essere inverno? Dove son finite quelle belle giornate di cielo cristallino col sole tiepido, in cui le nuvole vengono spazzate via dal tocco gelido della tramontana?

Mentre si aspetta il treno delle 8.13 è facile perdersi nelle considerazioni sul tempo, così, tanto per dimenticare l’umidità che salendo su dal Tevere inonda ogni cosa, entra nelle ossa e qualunque cosa tu faccia, te la porterai comunque dietro per tutto il giorno …

Michela si stringe nella sua sciarpa blu, di tessuto morbido - ricamata a mano in un paese lontano da una signora anziana dalle mani veloci ed esperte- e spera che il treno arrivi presto, l’attende una giornata tremendamente impegnativa. Se solo chiude gli occhi vede già davanti a sé la pila di carte che inonda quella che dovrebbe essere la sua scrivania, ma che -come il suo capo non perde occasione di puntualizzare- sembra più che altro un campo di battaglia. Aver preso due giorni liberi la settimana precedente le è costato caro e sa che quel lunedì dovrà fare il triplo del lavoro.

Con un sospiro rassegnato finalmente sale sul treno, almeno il riscaldamento funziona.

Scegliere dove sedersi è sempre un’impresa singolarmente complessa, Michela ormai sa bene quali siano i criteri da prendere in considerazione, un elenco non breve:

  • quantità di sporcizia, macchie e gomme da masticare appiccicate sui sedili;
  • densità dell’alone giallo-marroncino sul poggiatesta;
  • tonalità di blu dei braccioli;
  • grandezza del finestrino;
  • grado di visibilità verso l’esterno (anche detto: quantità di graffiti su quel vagone);
  • distanza dalla porta d’uscita.
Potrebbe sembrare una lista eccessivamente dettagliata, ma ormai il cervello di Michela è abituato ad usarla ogni mattina (perché la sera, al rientro, non può di certo permettersi tanta accortezza nella scelta; nella rissa del treno delle 18.28 ogni posto libero va bene, pur sempre incrociando le dita e sperando che i pantaloni nuovi non saranno da buttare a causa di una gomma da masticare!).

Così, processate velocemente le informazioni e scelto il posto, può finalmente sedersi.

Toglie il cappotto, allenta un po’ la sciarpa e si prepara a iniziare a leggere le mail che le hanno mandato dall’ufficio e che ha stampato perché è ancora una persona all’antica e quando ha bisogno di prendere appunti o di sottolineare preferisce la cara vecchia carta allo schermo del cellulare.

È arrivata alla seconda riga del primo foglio in cui il suo capo, dopo averle augurato buona vacanza, annuncia che la consegna per il romanzo inglese che sta traducendo è stata anticipata di due settimane.

Che rabbia! Pensa Michela e mentre si guarda intorno nota, sul sedile vuoto accanto al suo, un giornale abbandonato.

Le piace molto essere sempre aggiornata sulle ultime novità e nei giorni in cui esce di casa coi minuti contati e non fa in tempo a comprare il quotidiano, trova la free press molto utile.

Per fortuna sta nascendo l’abitudine di lasciarli sul treno i giornali, così uno stesso quotidiano informa più passeggeri che viaggiano sulla stessa tratta ad orari diversi …

Michela prende il giornale. Leggo. Scorre le notizie.

È piuttosto stufa delle continue morti, degli incidenti, dei potenti in lotta tra loro e preferisce le pagine di cultura e quelle con le recensioni degli ultimi film.

Come al solito, salta lo sport a piedi pari, ma si ferma un attimo ad una pagina scritta fitta fitta che la incuriosisce.

Messaggi e pensieri d’amore.

Inizia a leggere e le viene da sorridere di fronte agli annunci più disparati: si va dai messaggi d’amore in codice: “ti amo tanto cucciola, tuo cucciolo” a cose più particolari come “al bellissimo autista della linea 310, ti sogno tutte le notti!”, come si può non ridere? In un certo senso però, una piccola parte del suo cuore prova quasi invidia per quella gente che passa ancora il tempo a dar retta ai sentimenti … si vede che non hanno niente di meglio da fare, pensa Michela, mentre continua a scorrere con gli occhi gli  annunci …

“Alla bellissima ragazza dai capelli rossi, con il trolley viola e l’anulare destro tatuato che era al Mac Donald’s di Termini il 20 novembre alle 13.15, non posso smettere di pensarti. Il ragazzo che era seduto di fronte a te. Scrivimi feilong@live.it

Michele rilegge, una, due, tre volte.
Poi guarda la sua mano destra.
Guarda il suo anulare e il sottile stelo che lo avvolge e sboccia in una rosa blu, proprio all’altezza dell’unghia … Che stupida che sono, si dice, sarà solo una coincidenza, non è poi una cosa così unica avere un tatuaggio su un dito!

Il 20 novembre. All’ora di pranzo. Dov’ero?!

Mentre la campagna sabina scorre veloce fuori dal finestrino, ancora protetta da una coperta sottile di rugiada ghiacciata, ricorda ogni cosa …