martedì 2 aprile 2013

Attenti al drago volante ------Parte II

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Il 20 novembre. All’ora di pranzo. Dov’ero?!

Mentre la campagna sabina scorre veloce fuori dal finestrino, ancora protetta da una coperta sottile di rugiada ghiacciata, cerca di tornare indietro con la memoria a quel giorno, al 20 novembre, così, just in case.

Il 20 novembre.

Era in ritardo, aveva paura di perdere il treno, quello che doveva portarla a Fiumicino per salire sull’aereo, per fuggire dalla routine quotidiana solo per quattro giorni. Doveva salire su quell’aereo che l’avrebbe portata nella città che più amava, Londra.

Avrebbe spento il cellulare una volta arrivata e aveva già lasciato il computer a casa, stava per godersi 4 giorni di vacanza con il suo caro amico Matteo, che ormai viveva a Londra da tre anni.

Ogni volta che qualcosa nella sua vita andava storto, ogni volta che era triste o delusa o ferita, correva da lui.

Già lo vedeva ad aspettarla a Heathrow, tutto sorridente, tirato a lucido, con la barba appena fatta per non sentire i suoi rimproveri, dal cappotto di panno troppo leggero sarebbe spuntato il colletto stropicciato della sua camicia preferita, quella azzurro cielo. Sarebbe stato bello e impossibile, come sempre.

Per non rischiare di arrivare tardi alla stazione (era un grosso problema per lei quello di avere l’ossessione della puntualità) era uscita di casa senza pranzare, ma una volta a Termini, col treno in ritardo, aveva deciso di concedersi un menù al Mac Donald’s. Non era una cosa che faceva spesso, mangiare il cibo ipercalorico del colosso americano, ma qualche volta le faceva bene. Era come se avesse un forte desiderio di grassi e fritto. "Mac Donald’s Theraphy" la chiamava la sua amica francese e Michela era d’accordo sui poteri terapeutici del cibo macdonaldiano in momenti di stress o di tristezza.

Il suo treno, non quello per l’aeroporto, ma il regionale che prende ogni mattina, nel frattempo, è arrivato alla stazione Tuscolana e lei deve scendere, o meglio, tentare di scendere, vista la folla di persone che la separa dalla porta. Si fa coraggio, stringe la borsa e spera che la spunterà anche sta volta.

È in ufficio, alla scrivania. Guarda lo schermo del computer, le righe sul foglio elettronico non aumentano. La traduzione proprio non la prende, nemmeno un po’. Legge e rilegge lo stesso paragrafo tante volte, ma sembra come avere la testa vuota. Non riesce a togliersi dalla testa quel messaggio sul giornale e non riesce, per quanto le sembri assurdo, a non chiedersi se potesse davvero essere rivolto a lei. Mentre ci ripensa per l’ennesima volta, eccolo, come in un lampo.

Un particolare.

Il sorriso di quel ragazzo. Di quello che era seduto al tavolo accanto al suo, l’aveva guardata dritto negli occhi, con fare strafottente e abbozzando un sorriso beffardo le aveva indicato che aveva della salsa sul labbro. Maledetto Mac Chicken! Lei, ne era sicura ormai, si era pulita la bocca con il dito tatuato! Allora poteva forse essere che … quel ragazzo poteva essere lui l’autore di quel messaggio? 

Sente il dubbio iniziare a farsi strada nella sua testa.

Che fare?

Cerca di ricordarsi quel ragazzo, ma non ha trattenuto i particolari, non erano rilevanti. Si ricorda solo il fastidio che aveva provato quando lui le aveva fatto notare che aveva il labbro sporco. Dannazione! Perché non riesce a concentrarsi su quel maledetto manuale medico che deve essere tradotto a tutti i costi entro fine mese?

«Tu dovresti smetterla, signorina razionalità, di non ascoltare mai il tuo istinto. Dovresti buttarti, la vita è una. Te lo dico sempre.» Le parole di Matteo sono un problema. Seguire l’istinto. È davvero di questo che ha bisogno? Non ne ha idea.
Sa solo che chissà come, si ritrova con una pagina web aperta e clicca su: scrivi nuova mail.

“Ciao,
sicuramente no, ma c’è un 1% di possibilità che io sia la persona che descrivi nel messaggio su Leggo. Non riporci troppe speranze, perché è davvero una possibilità remota.

Michela.”

Il puntatore è fisso sul pulsante rosso Invia. Michela non ha il coraggio di premerlo. Resta lì a fissare lo schermo e si chiede se non sia un errore, una sciocchezza, qualcosa che potrebbe tranquillamente evitare.

«Michela, a che punto sei?» la voce del suo capo la fa trasalire, al punto che schiaccia inavvertitamente il tasto sinistro e la mail è andata, inviata.

«A buon punto, a buon punto.» Cerca di mentire, ma sa che lui la conosce bene.

«Che c’è? È tosta? Non avevi detto che era una sciocchezza?»

«No, no, Alex, è solo che oggi non riesco a lavorare. Ho mal di testa.»

«Fa una cosa stella, esci e prenditi un po’ d’aria e un caffè, magari ti fa tornare con la testa sul lavoro, sei ancora in ferie tu, te lo dico io!»

Michela esce e fa il giro dell’isolato. L’aria è fredda, ma a Roma non piove, il cielo è grigio e cupo, ma la città è bella lo stesso. Chissà se quel ragazzo del messaggio ha visto la sua mail, chissà se ha risposto e se ha risposto cosa ha scritto? E se le chiede di vederla? Come fa? Che fa, va ad un incontro al buio? Ma che diamine sta facendo!
 

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