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Il 20
novembre. All’ora di pranzo. Dov’ero?!
Mentre la
campagna sabina scorre veloce fuori dal finestrino, ancora protetta da una
coperta sottile di rugiada ghiacciata, cerca di tornare indietro con la memoria
a quel giorno, al 20 novembre, così, just
in case.
Il 20 novembre.
Era in ritardo, aveva paura di perdere il treno,
quello che doveva portarla a Fiumicino per salire sull’aereo, per fuggire dalla
routine quotidiana solo per quattro giorni. Doveva salire su quell’aereo che
l’avrebbe portata nella città che più amava, Londra.
Avrebbe spento il cellulare una volta arrivata e aveva già lasciato il computer a casa, stava per godersi 4 giorni di vacanza con il suo caro amico Matteo, che ormai viveva a Londra da tre anni.
Ogni volta che qualcosa nella sua vita andava
storto, ogni volta che era triste o delusa o ferita, correva da lui.
Già lo vedeva ad aspettarla a Heathrow, tutto
sorridente, tirato a lucido, con la barba appena fatta per non sentire i suoi
rimproveri, dal cappotto di panno troppo leggero sarebbe spuntato il colletto stropicciato
della sua camicia preferita, quella azzurro cielo. Sarebbe stato bello e
impossibile, come sempre.
Per non rischiare di arrivare tardi alla stazione
(era un grosso problema per lei quello di avere l’ossessione della puntualità)
era uscita di casa senza pranzare, ma una volta a Termini, col treno in
ritardo, aveva deciso di concedersi un menù al Mac Donald’s. Non era una cosa
che faceva spesso, mangiare il cibo ipercalorico del colosso americano, ma
qualche volta le faceva bene. Era come se avesse un forte desiderio di grassi e
fritto. "Mac Donald’s Theraphy" la chiamava la sua amica francese e Michela era d’accordo
sui poteri terapeutici del cibo macdonaldiano in momenti di stress o di
tristezza.
Il suo
treno, non quello per l’aeroporto, ma il regionale che prende ogni mattina, nel
frattempo, è arrivato alla stazione Tuscolana e lei deve scendere, o meglio,
tentare di scendere, vista la folla di persone che la separa dalla porta. Si fa
coraggio, stringe la borsa e spera che la spunterà anche sta volta.
È
in ufficio, alla scrivania. Guarda lo schermo del computer, le righe sul foglio
elettronico non aumentano. La traduzione proprio non la prende, nemmeno un po’.
Legge e rilegge lo stesso paragrafo tante volte, ma sembra come avere la testa
vuota. Non riesce a togliersi dalla testa quel messaggio sul giornale e non
riesce, per quanto le sembri assurdo, a non chiedersi se potesse davvero essere
rivolto a lei. Mentre ci ripensa per l’ennesima volta, eccolo, come in un
lampo.
Un
particolare.
Il
sorriso di quel ragazzo. Di quello che era seduto al tavolo accanto al suo, l’aveva guardata
dritto negli occhi, con fare strafottente e abbozzando un sorriso beffardo le
aveva indicato che aveva della salsa sul labbro. Maledetto Mac Chicken! Lei, ne
era sicura ormai, si era pulita la bocca con il dito tatuato! Allora poteva
forse essere che … quel ragazzo poteva essere lui l’autore di quel messaggio?
Sente il dubbio iniziare a farsi strada nella sua testa.
Che
fare?
Cerca
di ricordarsi quel ragazzo, ma non ha trattenuto i particolari, non erano
rilevanti. Si ricorda solo il fastidio che aveva provato quando lui le aveva
fatto notare che aveva il labbro sporco. Dannazione! Perché non riesce a
concentrarsi su quel maledetto manuale medico che deve essere tradotto a tutti
i costi entro fine mese?
«Tu
dovresti smetterla, signorina razionalità, di non ascoltare mai il tuo istinto.
Dovresti buttarti, la vita è una. Te lo dico sempre.» Le parole di Matteo sono
un problema. Seguire l’istinto. È davvero di questo che ha bisogno? Non ne ha
idea.
Sa
solo che chissà come, si ritrova con una pagina web aperta e clicca su: scrivi nuova mail.
“Ciao,
sicuramente
no, ma c’è un 1% di possibilità che io sia la persona che descrivi nel
messaggio su Leggo. Non riporci
troppe speranze, perché è davvero una possibilità remota.
Michela.”
Il
puntatore è fisso sul pulsante rosso Invia.
Michela non ha il coraggio di premerlo. Resta lì a fissare lo schermo e si
chiede se non sia un errore, una sciocchezza, qualcosa che potrebbe
tranquillamente evitare.
«Michela,
a che punto sei?» la voce del suo capo la fa trasalire, al punto che schiaccia
inavvertitamente il tasto sinistro e la mail è andata, inviata.
«A
buon punto, a buon punto.» Cerca di mentire, ma sa che lui la conosce bene.
«Che
c’è? È tosta? Non avevi detto che era una sciocchezza?»
«No,
no, Alex, è solo che oggi non riesco a lavorare. Ho mal di testa.»
«Fa
una cosa stella, esci e prenditi un po’ d’aria e un caffè, magari ti fa tornare
con la testa sul lavoro, sei ancora in ferie tu, te lo dico io!»
Michela
esce e fa il giro dell’isolato. L’aria è fredda, ma a Roma non piove, il cielo
è grigio e cupo, ma la città è bella lo stesso. Chissà se quel ragazzo del
messaggio ha visto la sua mail, chissà se ha risposto e se ha risposto cosa ha
scritto? E se le chiede di vederla? Come fa? Che fa, va ad un incontro al buio?
Ma che diamine sta facendo!
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