domenica 24 marzo 2013

Immagginando un viaggio, povera Eleonora.

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In treno…

Chi avrebbe mai pensato, immaginato, creduto che una cosa del genere potesse succedere proprio a lei? La regina della razionalità. La regina dei ragionamenti ponderati, dei progetti fatti con largo anticipo, dei passi cadenzati sapendo sempre e comunque quale precede il seguente e quale segue il successivo. Chi l’avrebbe mai detto? Eppure la realtà era innegabile, incredibile quanto vera. Nel giro di un mese tutto era cambiato, tutto e lei non poteva far altro che sentirsi felice, sollevata persino, le sembrava di essersi tolta un macigno dallo stomaco e un peso dal cuore. Si sentiva leggera, quasi quanto la gonna del vestito –nuovo- azzurro cielo con tanti fiorellini rosa sopra, quasi d’altri tempi. Stretto intorno ai seni, arricciato a nido d’ape con qualche bottoncino a mettere in risalto la vita che nelle ultime settimane s’era assottigliata non di poco.
Le colline del centro, il verde, gli uliveti e i paesini medievali arroccati sui colli; la grande metropoli e il suo caos già in piena vita, alle sette del mattino se li era lasciati alle spalle e ora, fuori dal finestrino, tutto quello che vedeva era la pianura. Immense distese di campi ormai arati o pieni di fieno, quasi a ricordare il colore del grano. Lo diceva, la saggia volpe al suo piccolo principe che nella vita servono i riti. Cosa c’era dunque, di più rituale di una preparazione a un incontro lunga tre ore? Un viaggio in treno solo per vederlo. Stava attraversando mezza penisola solo per il gusto di rivederlo, solo perché quel bacio glielo doveva, aveva avuto non una, ma ben due occasioni per prenderselo, per sentirne il sapore e non l’aveva fatto. Lui, Alberto, aveva detto che era stata lei a scansarsi! Ma com’era possibile che lei non s’era accorta di niente? Forse il tentativo era stato così velato, così gentile che lei non c’aveva nemmeno fatto caso … e poi due settimane prima aveva ancora una ragione, non buona, ma almeno giustificabile per decidere di non baciarlo, per controllare quelle emozioni incontrollabili che l’avevano attanagliata dal primo momento, da quando per la prima volta, mentre lavorava s’era distratta da tutto e le era sembrato quasi di perdersi in quegli occhi neri neri, in quello sguardo un po’ sbruffone ma che in qualche strano modo trasmetteva dolcezza. Ora quella ragione, ora quell’anello che per più di otto anni era stato attaccato, legato, indissolubilmente al suo dito era sparito, quel legame che ultimamente troppo spesso era diventato un vincolo, un ostacolo, un peso era finalmente finito. Certo, non era stato facile per Eleonora guardarsi dentro e capire e scoprire che non amava più, neanche un po’ quello che per gran parte della sua vita aveva creduto fosse l’amore della sua vita, la persona con cui avrebbe condiviso l’esistenza il padre dei suoi figli … questo forse era quello che le dispiaceva di più perché sapeva che lui sarebbe diventato un papà meraviglioso eppure, c’erano troppe differenze, troppe distanze, sempre in aumento tra loro due e ormai continuare a stare insieme con due visioni della vita e del mondo così diverse sarebbe stato sempre più infattibile. Così aveva troncato. Con una forza d’animo che nemmeno lei era ben consapevole di avere.
E ora si sentiva rinata. Come uscita da un coma. Si sentiva viva. Attiva, piena di cose da fare, da dire, da pensare. Sì, persino da pensare, perché la mente ora era libera di pensare a tutto ciò che voleva, poteva pensare di trasferirsi dall’altra parte del mondo o da qualche altra parte d’Europa, poteva pensare di fare il giro della Cina, poteva! E solo questa potenza la rendeva felice e la faceva sentire bene. Poco le importava se a casa sua si respirava aria di guerra, se suo padre non le rivolgeva la parola, se sua madre, da sempre grande confidente più di qualsiasi amica, questa volta non la capiva e se questo l’avrebbe costretta a rivedere completamente il suo rapporto con lei … poco le importava. Perché lei stava bene. Era egoista? Sì, terribilmente, ma questo egoismo la stava portando a quello che voleva. E quelli erano i giorni in cui si iniziavano a raccogliere i frutti di anni di duro lavoro, di costanza, di fatica e giornate intere passate sui libri, passate a ripetere la stessa sillaba per ore finchè non riusciuva quanto meno ad immaginare la differenza tra un tono e l’altro che la sua insegnante di cinese predicava con tanta convinzione … quelli erano i giorni in cui la sua vita stava iniziando davvero. E per lui non c’era più spazio.
A dirla tutta, di spazio non ce ne sarebbe dovuto essere nemmeno per Alberto, anche perché lui una vita ce l’aveva già. Piena, occupata fino all’ultimo istante. Il lavoro, la casa, il cane, una fidanzata, forse persino un figlio in arrivo. Come poteva Eleonora pensare che ci fosse posto per lei? O per lui nella sua vita? Era evidente che non ce n’era. Nemmeno uno spazio piccolo, ritagliato. Eppure quello sguardo, quegli occhi e quel sorriso, agli angoli della bocca, che lascia intravedere i denti, un sorriso di quelli che quando lo vedi sai che dietro c’è qualcosa di bello, che una persona che riesce a sorridere così deve essere bella dentro, nel profondo. Era bastato così poco, incroci di guardi sul lavoro, risate, sintonia immediata perché in due vite in cui non ci poteva essere posto per nient’altro, d’un tratto e con immensa meraviglia di loro due per primi, quello spazio s’era creato. Dal nulla. Dove non c’era ora s’era formato uno spazietto. Ed Eleonora in quello spazietto, sebbene stretto, si trovava molto a suo agio, quasi come a casa. Parlare con lui la faceva sentire bene. Alle volte anche solo il suono della sua voce, il suo modo di parlare e la sua risata contagiosa aumentavano il senso di leggerezza, lo star bene che già aveva in sé da una manciata di giorni. Le piaceva così tanto quella sensazione di spensieratezza, di leggerezza che pensava avrebbe potuto abituarcisi facilmente.
Dopo giorni e giorni passati a parlare con lui –anche quando i momenti erano neri e le decisioni difficili venivano prese riusciva a farla sorridere, a farla sorridere sollevata- aveva deciso. Sapeva che era la decisione sbagliata. Ma giusto e sbagliato non sono forse come yin e yang? Relativi? Ovviamente sì. E allora come l’acqua è relativamente yin rispetto al sole ma relativamente yang rispetto al ghiaccio, la decisione folle di salire su un treno, attraversare mezzo Paese solo per rivederlo e passare con lui cinque ore per poi prendere un altro treno e tornare indietro era relativamente giusta perché la faceva stare bene e da quanto diceva faceva stare bene anche lui.

Aveva detto di sentirsi vivo, elettrizzato, Alberto. E lei sperava che fosse tutto vero. Ma le emozioni che aveva provato standogli accanto difficilmente potevano essere false. Non ci credeva, aveva imparato –anche pagandone il costo a caro prezzo- a conoscere le persone e sapeva che si può fingere, figuriamoci, aveva fatto teatro per più di dodici anni! Ne sapeva qualcosa sul fingere! Ma alcune emozioni, alcuni sguardi son difficili da camuffare. Difficili da imitare. Quando avevano lavorato insieme lo avrebbe voluto baciare. Quell’abbraccio che lui le aveva dato prima di partire l’aveva lasciata a bocca aperta, perché c’era tutto dentro. C’erano tutte le cose che non s’erano ancora detto, c’erano le conferme che tutto quello che lei aveva sentito standogli vicino era vero.

Sapeva bene che quel pomeriggio sarebbe stato solo una serie di momenti rubati. Che non era la realtà, ma un sogno. Ma d’altronde, tutta la sua realtà in quei giorni sembrava un sogno che si realizzava. Il lavoro che aveva sognato, che aveva anelato era ormai nelle sue mani e lei finalmente s’era convinta di poterlo fare. «Ti sei accorta finalmente della potenza che c’è in te.» le aveva detto suo zio qualche giorno prima, parlando al telefono. Forse era vero. E se ora si guardava allo specchio, quasi quasi si piaceva persino. E aveva voglia di guidare, di uscire, di vivere! Perciò le importava poco, in fin dei conti, se quel pomeriggio sarebbe stato soltanto un bel giorno da mettere nel cassetto dei ricordi, perché se non l’avesse fatto, se non avesse fatto una pazzia non se lo sarebbe perdonato. Fino a qualche mese prima, fino a un anno prima non avrebbe nemmeno immaginato che una cosa del genere fosse possibile. Non aveva capito niente ancora della vita. Ma poi aveva vissuto da sola dall’altra parte del mondo per quasi un anno e questo era bastato, anche se non se ne era resa conto subito, tornando, era servito un po’ di tempo, aveva avuto bisogno che tutto s’assestasse. E poi, come per magia, proprio quando finalmente sapeva chi era e che ciò che più desiderava nella vita era già nelle sue mani aveva incontrato Alberto. Come un fulmine a ciel sereno a scuotere la sua vita.

Cosa si sarebbero detti appena visti? Riusciva ad immaginare la scena, ma si emozionava al punto che non riusciva a pensare a cosa avrebbe detto trovandoselo davanti in carne ed ossa. Di cose se ne erano dette tante al telefono, con i messaggi. Lo conosceva già, almeno un po’. E sapeva, di certo, che non voleva perderlo, le andava bene anche rimanere buoni amici. Dopo. Ma non quel giorno. Quel giorno no. Un bacio lui glielo doveva. E lei se lo sarebbe preso, perché era il minimo. E poi il resto … chissà! Forse, perché no … erano secoli che non provava attrazione così forte per qualcuno. S’era quasi dimenticata che effetto facesse… un effetto stupendo. Un effetto che ti elettrizza, che ti fa sorridere e canticchiare anche se ti sei alzata alle sei del mattino!

Fuori dal finestrino la pianura continuava a scorrere, così come l’orologio e il momento di incontrarlo si avvicinava. Sarebbe stato suo, almeno per quelle cinque ore. E il tempo dell’anima, si sa, è diverso da quello oggettivo. Cinque ore le avrebbe rese indimenticabili. Aveva imparato, grazie agli amici orientali, a far tesoro di ogni singolo istante. Perché ci sono momenti nella vita di ognuno che non possono, non devono andare persi. Vanno custoditi e vissuti fino in fondo. Non era quello che faceva lei. Non sarebbe mai riuscita a fare, a pensare qualcosa di simile fino a un anno prima. No, di certo! Perché lei era sempre orientata al futuro prima, ma ora quel futuro che tanto aspettava era lì, era giunto e lei non poteva far altro che goderselo. Godersi fino al midollo ogni istante. Da quando aveva smesso di guardare al futuro e aveva iniziato a godere del presente tutto era cambiato e diventato migliore, più leggero. Più soffice, come nuvola e ogni momento che viveva rimaneva vivo nella sua memoria perché estremamente intenso.

Lo avrebbe aspettato e avrebbe respirato profondamente. Perché lei in passato odiava l’attesa, invece ora sapeva che attendere qualcosa di bello è la cosa migliore che possa esserci, perché prepara il cuore e quando il momento atteso giunge si è pronti a goderlo e non lo si lascia scappare.

E allora, ancora lì seduta sul treno. 

Prova a immaginarsi Alberto. 

Lo vede che oggi è vestito di nero, vede che lavora e intanto canticchia, fischietta e magari sorride persino, tra i baffi mentre assembla un ingranaggio. Lo vede sorridere tra sé e sé mentre gioca con la gru. Lo vede che non ha voglia di litigare con i colleghi, almeno per oggi, perché è felice. E sapere che quella felicità, che tutto questo che il loro incontro, il loro segreto lo rende felice non può far altro che farla sentire ancora meglio. Ha una donna? Sì. Ma non cambia che in questo momento lui è felice perché tra poco si vedranno, a pensarci bene meno di un’ora! E a lei questo basta. Alle volte nella vita le emozioni bastano. Perché rendono vivi. E se solo passando delle ore insieme lei fosse riuscita a farlo sentire vivo completamente, se questo loro gioco poteva risvegliare il suo cervello che lavora al minimo normalmente, se poteva essere per lui una via di fuga dalla routine che lo attanaglia… bhè, ben venga. Gli avrebbe regalato un pomeriggio di quelli da film, da favola che dir si voglia. Lui sarebbe partito per le vacanze la settimana successiva, e lei aveva deciso di regalargli un momento da ricordare prima che se ne andasse, perché in fondo aveva paura che prima o poi uno dei due, o entrambi avrebbero razionalizzato, si sarebbero resi conto che non poteva essere, che non era una cosa giusta, né morale, né razionale … ma lei doveva almeno averlo, quel bacio. Dopo di ciò avrebbe potuto anche lasciarlo andare, forse. O forse no. Forse dopo averlo baciato si sarebbe sentita ancora più attratta da lui, perché se quel bacio in realtà fosse stato bello almeno un quarto di come lo aveva immaginato lei svariate volte, allora lasciare andare sarebbe stato più difficile, ma lo avrebbe fatto, se necessario. Perché in fin dei conti quello che le interessava davvero, era sentirsi bene, felice, senza pensieri e lui in questo era bravissimo. Un maestro. E non vedeva semplicemente l’ora di vederlo. Se lo immaginava scalpitante, che controlla l’orologio di continuo sperando che l’ora di uscire da lavoro per il pomeriggio di permesso che ha richiesto arrivi il prima possibile… perché anche lui non vede l’ora, forse perché anche a lui, tutt’ora non sembra vero.
 

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