martedì 26 marzo 2013

Un attacco di sinologia acuta

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Di solito, i grandi amori iniziano in modo epico.
Un’epifania, un colpo di fulmine. Chiamatelo un po’ come volete.
Sono istanti i che poi uno ricorda per sempre come: “Il Momento, l’Inizio.” E le maiuscole non sono casuali. 
Ma non sempre va così. Questo è certo, ed è proprio il mio caso.
Era un giorno di ottobre, il tre ottobre per l’esattezza, di sei anni fa.
Ero una ragazzina e quella era la terza volta che mettevo piede in un posto del genere.
La prima volta avevo soltanto una decina d’anni, era la laurea di mia cugina, cose d’altri tempi con le diapositive, quelle vere, non il power point, quelle che andavano cambiate a mano, una dopo l’altra, mentre non dovevi perdere il filo del discorso.
La seconda volta avevo diciassette anni, era la laurea dell’altra mia cugina. Atmosfera diversa, psicologia, non medicina. Niente toghe, aula talmente piccola che i parenti erano tutti spiaccicati contro il muro.
La terza volta era il mio inizio. Primo giorno di università.
Una ragazzina provinciale catapultata dentro Lettere e Filosofia. Non posso dimenticare la sensazione dei volti sconosciuti che si avvicendavano per i corridoi e non posso scordare di essere stata lì, in piedi, con l’agenda in mano e le ginocchia che tremavano, sotto lo schermo luminoso, per un’ora.
Lingua e Traduzione Tedesco I.
L’orario diceva che la prima lezione doveva essere alle 10, io avevo preso il treno delle sei per paura di non fare in tempo, per il terrore di non trovare l’aula … non ero mica più al liceo a cinque minuti da casa e quei corridoi sembravano labirinti.  L’unica altra lezione che quel giorno avrei dovuto seguire mi terrorizzava solo dal titolo e c’era alle 16:00. “Linguistica e Glottologia. Modulo I.”
Finalmente, come un fulmine a ciel sereno leggo – e devo sbrigarmi a leggere perché le stringe corrono via veloci, se non scrivo il numero dell’aula immediatamente finisce che mi trovo a dover aspettare un’altra ora, prima che la notizia ripassi- Lingua e Traduzione Tedesco I, aula B.
Ora, vai a sapere dov’era “l’aula B”!
La ricerca fu lunga e tempestosa, ma alla fine mi ritrovai seduta su una sedia di legno incredibilmente dura e scomoda col cuore a mille ad aspettare l’arrivo della professoressa.
Bella era, alta, bionda. Tedesca come non mai. Non potevo pensare che avrebbe cambiato la mia vita con le sue parole, come lame di coltelli: «Alla fine di tre anni avrete livello B1+ se scegliete tedesco come seconda lingua.»
Una doccia fredda.
Io avevo già il B2.
Lo so che questa sentenza che per me era la morte di programmi cullati un’estate intera di continuare a studiare tedesco, non avrà molto significato per chiunque non conosca il sistema di valutazione delle lingue europee … ma vi basti sapere che il B1 è inferiore al B2 come livello … non potevo continuare a studiare tedesco senza aver modo di aumentare il mio livello.
Mi alzo, esco dall’aula. Distruzione di sogni. Non so che fare. Io dovevo studiare inglese e tedesco. Era deciso. Dal terzo liceo era deciso.
Mi ritrovo sotto il tabellone luminoso, bacheca elettronica che dir si voglia.
Sono le dieci e un quarto. Prossima lezione alle sedici. A tornare a casa non ci penso nemmeno, non sconfitta. Che racconto a mia madre? Non posso più studiare tedesco e son rimasta solo con l’inglese …
Lingua e Traduzione Cinese I. Aula C. Ore 10:00.
Leggo e rileggo la scritta bianca su sfondo nero che mi guarda. Non so perché, ma sembra quasi un invito.
Lingua cinese, non ci avevo davvero mai pensato. Ma evidentemente anche il cinese si può studiare … cinese … ma quelli scrivono ancora davvero con i disegnini? Chissà se una che non sa disegnare può impararli …
Il momento dopo mi ritrovo ad attraversare lo spazio aperto che separa i due edifici della facoltà, quello che poi diventerà “la vasca”, quella specie di piscina o fontana che vedrà me e le mie colleghe passare ore a ripassare, aspettare, vivere …
Aula C. Piena zeppa. C’è solo un posto a sedere.
Mi avvicino, la ragazza che occupa il posto accanto a quello vuoto è piccolina di statura, ha i capelli corti, rossi fuoco. «È libero questo posto?» chiedo molto poco convinta e lei mi accoglie con un sorriso che ricorderò per sempre. 
«Certo.»
Nemmeno lei sapeva bene come le fosse venuto in mente di seguire la lezione di cinese e probabilmente come noi erano quasi tutti gli altri seduti nelle file davanti e dietro la nostra.
La prof fa il suo ingresso. Non più alta di un metro e cinquanta. Occhiali rossi e arancio. Il naso un po’ all’insù, posa la borsa arancio del computer sulla scrivania, si aggiusta gli occhiali e guarda con attenzione tutti noi. Ci scruta, uno alla volta. Poi si siede e accende il microfono. La sua voce è calma, pacata eppure incute un certo timore, un rispetto incredibile.
«Il cinese è difficile. Ma si può imparare. Vi dico, intanto, che di quelli che sono seduti qui ora a marzo dopo l’esonero, ne arriverà la metà e all’esame di fine anno sarete un quarto. Sono molto selettiva. Detto questo, il cinese è una lingua sillabica, ogni sillaba può essere modulata secondo quattro toni …»
Alle volte basta poco. E a me quelle parole che dovevano far paura convinsero. Le sfide, non le ho mai temute. E poi a quella signora cinquantenne brillavano gli occhi mentre spiegava, qualcosa di speciale in quella lingua di cui non sapevo niente doveva pur esserci …
«Mamma, io ho deciso, studio cinese.»
A volte i grandi amori non nascono con un colpo di fulmine, nel mio caso una delle attuali più grandi passioni della mia vita è nata da un equivoco. Da un livello di tedesco che non andava bene, da un’insegnante che con due ore mi ha fatto venire voglia di scoprire un mondo, ci ha fatto venire voglia di scoprire un mondo.
E così io e la ragazza dai capelli rosso fuoco, sono sei anni che avanziamo lungo una strada fatta di ostacoli e di paure, di scoperte, di lineette senza senso che diventano radicali, che si trasformano in “mano”, “albero col cappello” e tanto altro; sei anni di amore e di odio alle volte.
La Cina o la si ama o la si odia.
No, non sono convinta sia così.
Alle volte mi capita di odiarla perché la amo troppo, credo. 
E la ragione per cui ho voluto creare questo piccolo spazio virtuale è semplice, sperare di poter condividere questo mio “odi et amo” con qualcuno che non ne sappia niente o che ne voglia sapere di più … o solo così, perché alle volte i grandi amori vanno condivisi.

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